La Comunità Buddista: il Sangha

​Secondo il Buddismo della Soka Gakkai il sangha è la comunità di credenti, il cui scopo fondamentale è quello di trasmettere ad ogni membro la pratica corretta dell’insegnamento di Nichiren Daishonin, in modo tale da concretizzare il desiderio di pace mondiale (kosen-rufu).

Il Buddismo è spesso considerato una disciplina solitaria; tuttavia, il buddismo di Nichiren Daishonin si trova nel contesto di una comunità di persone, in quanto considera la nostra esistenza inseparabile dalle altre forme di vita. In breve il principio di itai doshin (lett. “diversi corpi, stessa mente”) si basa su questo elemento: significa che esseri umani, diversissimi tra loro, si uniscono per realizzare il grande voto di kosen-rufu , basandosi sul Gohonzon e sul Gosho e non sulle proprie opinioni e sui propri istinti personali.

Da un’altra prospettiva, dato che la pratica buddista di migliorare la propria vita è una sfida costante ed un processo difficile, è naturale aver bisogno del sostegno da parte di coloro che sono ugualmente dediti alla loro rivoluzione umana. In questo senso è possibile affermare che la Soka Gakkai è un’”assemblea di buoni amici”, ove con l’espressione “buoni amici” non si ci si riferisce alle relazioni affettive, bensì a relazioni basate sul desiderio di aiutarci a seguire la via del corretto insegnamento per sviluppare e crescere nella nostra vita.

Da tali premesse deriva l’importanza assoluta del sangha, e la ragione per la quale i membri si impegnano a proteggerlo e preservarne l’unità.

Di seguito alcuni contributi per approfondire il concetto di sangha.

 1 / Proteggere e diffondere la Legge

Sangha, la comunità dei credenti che svolge la funzione di custodire e propagare la Legge mistica per il bene dell’umanità. Per questo è fondamentale proteggerlo e preservarne l’unità con la consapevolezza che in esso scorre la linfa vitale del Budda.

Il sangha, nella sua accezione più antica, indicava solamente la comunità monastica.
In quel primo stadio di sviluppo del Buddismo, una comunità di almeno quattro monaci o monache, che avevano rinunciato alla vita secolare e si dedicavano alla pratica buddista, era chiamato sangha, designando così un ordine religioso in cui si pratica, si trasmette e si custodisce per le future generazioni l’insegnamento del Budda. Poiché questa funzione era di vitale importanza, il sangha era considerato, insieme al Budda e ai suoi insegnamenti, degno di devozione e protezione: infatti è uno dei tre gioielli del Buddismo nei quali “prendere rifugio”; gli altri due sono il Budda e i suoi insegnamenti (Dharma).

Nella visione delle scuole buddiste mahayana, sangha si riferisce invece anche ai laici che hanno “preso rifugio nei tre gioielli” e che hanno formulato i quattro voti dei bodhisattva il primo dei quali è:

“Per quanto infiniti siano gli esseri senzienti, pronuncio il voto di salvarli dalla sofferenza”

[Quattro voti dei bodhisattva: 1) Salvare innumerevoli esseri viventi, ovvero condurre tutte le persone alla Buddità, liberandole dalla sofferenza di nascita e morte; 2) Sradicare innumerevoli desideri e illusioni, ovvero vincere contro le nostre debolezze e
trasformare il veleno in medicina;3) Conoscere un infinito numero di insegnamenti buddisti; ciò consente di non diventare mai arroganti, continuando a ricercare la strada corretta e il proprio miglioramento personale;4) Conseguire la Buddità, seguendo la propria missione (cfr. DB, ed. 2006, 643)]

In sostanza è quel voto che tutti i membri della Soka Gakkai pronunciano mattina e sera durante la recitazione del capitolo “Durata della vita” (Juryo) del Sutra del Loto: «Mai ji sa ze nen, I ga ryo shujo. Toku nyu mu-jo-do. Soku joju busshin» (“Questo è il mio pensiero costante: come posso far sì che tutti gli esseri viventi accedano alla Via suprema e acquisiscano rapidamente il corpo di Budda?”).

Lo scopo fondamentale del sangha è la protezione e diffusione del Dharma (insegnamenti del Budda), così prezioso per la salvezza di tutti. Per questo motivo la sua interna e profonda unità diventa la condizione principale che deve essere costantemente assicurata nella comunità dei credenti.

La propagazione eterna del Dharma attraverso il sangha, la comunità dei credenti, quindi, diventò immediatamente lo scopo principale del Buddismo: l’unione dei membri della comunità intorno a tale obiettivo doveva essere protetto a ogni costo. Per questo motivo, causare la disgregazione del sangha fu considerato il peccato, o l’offesa, più grave che un praticante buddista poteva commettere.
Nella tradizione buddista esistono cinque gravi peccati od offese: le spiegazioni variano secondo i sutra e i trattati di riferimento, ma nella versione più comune sono, in ordine crescente di gravità:

  1. uccidere il proprio padre
  2. uccidere la propria madre
  3. uccidere un arhat
  4. ferire un Budda
  5. essere causa di disgregazione nell’ordine buddista.

Nell’insegnamento di Nichiren Daishonin, abbracciato dai membri della Soka Gakkai, il punto di vista sull’importanza assoluta del sangha e sull’unità dei praticanti è lo stesso delle altre tradizioni buddiste. Così scriveva il Daishonin:

«In generale che i discepoli di Nichiren, preti e laici, recitino Nam-myoho-renge-kyo con lo spirito di “diversi corpi stessa mente”, senza alcuna distinzione fra loro, uniti come i pesci e l’acqua, questo si chiama eredità della Legge fondamentale della vita. In ciò consiste il vero scopo della propagazione di Nichiren. Se è così anche il grande desiderio di un’ampia propagazione potrà realizzarsi. Ma se qualcuno dei discepoli di Nichiren distrugge l’unità di “diversi corpi stessa mente” sarà come chi distrugge il proprio castello dall’interno» (RSND, 1, 190)

“Stessa mente” (giapp. doshin) significa “stessa mente del Budda Nichiren Daishonin”: in breve significa che esseri umani, diversissimi tra loro, si uniscono per realizzare il grande voto di kosen-rufu.

«La linfa vitale del Budda – scrive Ikeda – non esiste in chi opera isolatamente o egoisticamente, ma scorre nella vita di coloro che recitano Daimoku e avanzano insieme verso la meta comune di kosen-rufu. È un passo estremamente importante, perché indica alle persone comuni il modo pratico per ottenere la Buddità nell’Ultimo giorno» (La vera entità della vita. Lezioni sugli scritti di Daishonin, esperia, Milano, 1996, pag. 116).

La Soka Gakkai è un sangha, una comunità di credenti che custodisce la Legge mistica, che la propaga per portare a termine il voto dei bodhisattva e che si costituisce e organizza unicamente in funzione di questo voto. Il secondo presidente Josei Toda a questo proposito affermava: «La Soka Gakkai è più importante della mia stessa vita».

2 / «UNITI COME I PESCI E L’ACQUA»

Nichiren Daishonin trasmette ai discepoli la necessità di essere uniti affinché il flusso della Legge possa continuare a scorrere e permettere la propagazione della Legge.

Ne L’eredità della legge fondamentale della vita Nichiren Daishonin trasmette ai discepoli la necessità di essere uniti affinché il flusso della Legge possa continuare a scorrere e permettere la propagazione della Legge: «In generale, che i discepoli di Nichiren, preti e laici, recitino Nam-myoho-renge-kyo con lo spirito di “diversi corpi stessa mente”, senza alcuna distinzione fra loro, uniti come i pesci e l’acqua, questo si chiama eredità della Legge fondamentale della vita. […] Se è così anche il grande desiderio di un’ampia propagazione potrà realizzarsi. Ma se qualcuno dei discepoli di Nichiren distrugge l’unità di “diversi corpi stessa mente” sarà come chi distrugge il proprio castello dall’interno» (RSND, 1, 190). «Avere la stessa mente», afferma il Daishonin. Ma quale “mente”? Il riferimento è alla “mente” del Budda, al voto di permettere a tutti gli esseri viventi di accedere alla Buddità. Nel sangha non c’è altra “mente” da seguire che quella del Budda.

Per quale motivo, nel corso della storia del Buddismo, sono apparsi numerosi discepoli che hanno provocato gravi rotture nel sangha? «Avere una “mente diversa da Nichiren” – scrive il maestro Ikeda – significa andare contro il suo insegnamento. […] Come si sviluppa una “mente diversa”? A mio avviso le cause fondamentali sono da ricercarsi nell’egoismo, dovuto ai sentimenti personali e alla presunzione. Per queste ragioni alcuni, tra cui Devadatta, tradirono anche Shakyamuni. Dapprima suo discepolo, Devadatta abbandonò la comunità trascinando con sé cinquecento preti, e attaccando Shakyamuni e i suoi discepoli. Cosa lo condusse ad abbandonare la fede facendolo poi precipitare all’inferno? L’apertura degli occhi descrive così la situazione: “L’Onorato dal Mondo così inveì contro Devadatta: ‘Sei un imbecille che lecca lo sputo altrui!’. Infiammato dall’ira, […] Devadatta gridò: ‘Gautama non è un Budda. […] Avrebbe dovuto ammonirmi in privato’” (RSND, 1, 219). Ecco come, mosso da un rancore personale, Devadatta infranse l’unità di “diversi corpi stessa mente”: tanta era la sua presunzione e il desiderio di essere ammirato! Shakyamuni conosceva profondamente il suo cuore e capiva che egli non avrebbe mai ottenuto l’Illuminazione senza eliminare la sua arroganza. Per questo motivo, di proposito, il Budda rimproverò il cugino davanti a tutti. Desiderava che correggesse la sua mente malvagia» (D. Ikeda, La vera entità della vita, Esperia, 1996, pag. 124).

Nessuna comunità buddista è esente dal pericolo di rottura della solidarietà interna: anche nel sangha che si era costituito intorno al Daishonin apparvero discepoli che incrinarono l’unità del gruppo. «Samnibo, uno dei principali discepoli del Daishonin – continua Ikeda – infranse l’unità e morì di morte violenta. Il Daishonin scrive: “C’era qualcosa di strano in Samnibo. Tuttavia temevo che lo stolto prendesse ogni mia ammonizione come invidia per la sua saggezza e perciò mi trattenni dal parlare francamente. La perversità della sua mente lo condusse al tradimento e infine alla condanna durante la persecuzione di Atsuhara. Se lo avessi rimproverato più severamente, avrebbe potuto salvarsi. Non ho mai parlato di ciò in precedenza perché nessuno poteva capirlo”. In questo brano il Daishonin sottolinea una questione importante. Voleva indicare a Samnibo i suoi errori, ma la situazione glielo impedì. Prima che il Daishonin se ne accorgesse, tra i suoi discepoli si era creata un’atmosfera per cui sgridare Samnibo avrebbe provocato più danno che beneficio. Samnibo era un prete erudito […], aveva però la tendenza a essere orgoglioso delle proprie capacità e al tempo stesso servile con le autorità: mancava della determinazione di sostenere il supremo insegnamento del Buddismo a qualunque costo. Il Daishonin scrive: “Nella tua lettera deplori il fatto che io abbia proclamato per la prima volta il mio insegnamento nella sala di un tempio di campagna, considerandolo come un danno al nostro prestigio. Non capisco il tuo riferimento al prestigio. Forse è perché disprezzi Nichiren?”» (Ibidem, pag. 126).
Devadatta e Samnibo sono due esempi di come – in tempi storici diversi – i tre veleni [ Avidità, Collera e Stupidità, mali fondamentali inerenti alla vita, che danno origine alla sofferenza delle persone, fonte di tutte le illusioni e i desideri] funzionino sempre allo stesso modo per creare disunità tra i credenti.
Dopo la morte del Daishonin furono proprio i cinque preti anziani a lui più vicini a ripudiare il suo insegnamento: di questo parleremo nel prossimo articolo.

3 / I CINQUE PRETI ANZIANI

Alla morte del maestro, furono proprio i cinque monaci più vicini a Nichiren a generare confusione e rotture all’interno della comunità buddista. Solo Nikko Shonin cercò di proteggere gli insegnamenti del Budda mettendo al centro l’impegno di realizzare kosen-rufu, indicazioni valide ancora oggi.

La prima grande rottura all’interno del sangha che si era costituito intorno al Budda Nichiren Daishonin, venne causata dai monaci che erano stati a lui più vicini.
Prima della sua morte, Nichiren Daishonin aveva designato cinque preti anziani come suoi principali discepoli. Essi erano: Nissho (1221-1323), Nichiro (1245-1320), Niko (1253-1314), Nitcho (1252-1317) e Nichiji (1250-?). La scelta cadde su di loro perché avevano dato un contributo importante nella divulgazione dell’insegnamento.
Nell’ottobre del 1282, nella residenza di Ikegami Munenaka, il Daishonin nominò Nikko Shonin (1246-1333) come suo legittimo successore. Due documenti lo testimoniano: l’Atto di trasferimento di Minobu e l’Atto di trasferimento di Ikegami. A Nikko e ai cinque preti anziani affidò la responsabilità della futura propagazione.

Il 13 ottobre 1282 il Daishonin si spense: Nikko assunse subito la carica di secondo patriarca del tempio Minobu-san Kuon, ma i cinque preti si rifiutarono di riconoscerlo come legittimo successore. Non si limitarono a questa gravissima azione: col tempo abbandonarono anche la dottrina del loro maestro per avvicinarsi a insegnamenti che lo stesso Daishonin aveva confutato.
Il comportamento di questi preti e la distorsione dell’insegnamento provocò disunità tra i credenti e confusione sulla dottrina, per questo motivo Nikko sentì l’urgenza di proteggere l’insegnamento del suo maestro e il 13 gennaio 1333 scrisse i Ventisei ammonimenti. Evidentemente sentiva il pericolo che il sangha nel corso del tempo avrebbe potuto perdere lo spirito del Daishonin: per questo motivo possiamo dire che le indicazioni di Nikko Shonin sono validissime ai nostri giorni e per il futuro. «Per via di una mistica relazione – scrisse nell’introduzione – noi abbiamo potuto avere la fortuna di incontrare questo sutra. E ora, con la punta del pennello, scrivo questi articoli per quelli che verranno e approfondiranno lo spirito del Buddismo. Il loro unico scopo è quello di onorare e realizzare l’aureo impegno di kosen-rufu».
Nikko raccolse e trascrisse di suo pugno in varie copie gli scritti del Daishonin conferendo loro l’appellativo di Gosho (go è un prefisso onorifico e sho significa scritti); i cinque monaci invece misero da parte la maggior parte degli scritti rivolti ai discepoli – quelli che i membri della Soka Gakkai utilizzano oggi per il loro studio quotidiano – perché redatti con una scrittura che presentava ideogrammi “popolari” e non “raffinati” come quelli usati dai preti colti: consideravano vergognoso che il Daishonin avesse usato quei caratteri. Naturalmente Nichiren scriveva in una lingua che i suoi discepoli potessero comprendere. Recentemente sono stati trovati falsi scritti del Daishonin elaborati dai monaci per rinforzare la loro superiorità sui laici.

Nichijun (1294-1356), discepolo di Nikko e responsabile dell’istruzione dei discepoli presso il seminario di Omosu, confutò in sei punti la dottrina dei monaci dissidenti: 1) mentre i cinque dichiaravano di essere preti della scuola Tendai, Nikko dichiarava di essere discepolo di Nichiren; 2) mentre i cinque disprezzavano le lettere redatte dal Daishonin con caratteri popolari, Nikko le considerava scritture sacre; 3) mentre i cinque davano lo stesso valore all’insegnamento transitorio (prima metà) e all’insegnamento originale (seconda metà) del Sutra del Loto, Nikko sosteneva che il primo fosse inferiore all’ultimo; 4) mentre i cinque veneravano immagini del Budda Shakyamuni come oggetto di culto, Nikko riveriva il mandala iscritto dal Daishonin (Gohonzon); 5) mentre la pratica seguita dai cinque era la lettura di tutto il Sutra del Loto, Nikko ne recitava solo i capitoli più importanti; 6) mentre i cinque si recavano ai santuari shintoisti, Nikko proibiva tale consuetudine.
Il tredicesimo dei Ventisei ammonimenti fu definito da Nikko il «principio per tutte le generazioni future». Esso recita: «Finché kosen-rufu non sarà realizzato, propagate la Legge al massimo delle vostre capacità, senza risparmiare la vostra vita».
Nel 1939, secondo una ricerca condotta dall’Ufficio per le religioni del Ministero della Pubblica Istruzione, i dati relativi alla Nichiren Shoshu e alle altre scuole Nichiren mostravano come la scuola ortodossa derivata da Nikko Shonin, in realtà fosse estremamente minoritaria rispetto alle altre derivazioni: la Nichiren Shoshu aveva 75 templi, le altre 4.962; 52 preti, le altre 4.451; 46.332 credenti laici, le altre 2.074.530; 40.209 seguaci, le altre 1.318.521.

Una nuova e potente diffusione del Buddismo di Nichiren Daishonin si realizzò grazie alla nascita di un nuovo sangha nel 1930. Da quel momento, e per l’infinito futuro, i membri della Soka Gakkai hanno iniziato e continueranno a propagare la Legge senza risparmiare la loro vita.

4 / FINO A NICHIKAN SHONIN

Cosa accade al sangha dopo la morte di Nikko e Nichimoku Shonin? Abbandoni e momentanei recuperi della dottrina originale del Daishonin si susseguono fino all’avvento di Nichikan, il grande riformatore che nella prima metà del XVIII secolo ripristinò lo studio degli insegnamenti e si impegnò a far crescere nuovi discepoli.

Non esistono resoconti sulla vita laica del sangha dopo la morte di Nikko Shonin e Nichimoku Shonin. Conosciamo però le cronache della scuola Fuji: una lunga serie di vicende che evidenziano l’abbandono dell’insegnamento del Daishonin da parte del clero, con momentanei ritorni alla dottrina originale. Si può comunque dedurre quanto grande fosse tra i credenti laici la confusione sulla pratica buddista. I cinque monaci anziani erano ormai tornati al Tendai e avevano bruciato tutti gli scritti del Daishonin redatti in kana, il sistema fonetico del popolo. E Nichiren non era più riconosciuto come Budda originale.
Nel 1333 il terzo patriarca Nichimoku morì nella neve mentre viaggiava verso Kyoto per inoltrare le rimostranze buddiste all’imperatore. Uno dei suoi discepoli, Nichigo, rivendicò la successione in contrasto col quarto patriarca Nichido, perciò il sangha si spaccò in due creando un conflitto che sarebbe durato settantadue anni. Il sangha si divise addirittura sulla struttura del Gongyo: un monaco, Nichidai, sosteneva che l’insegnamento teorico e quello essenziale del Sutra del Loto avessero la stessa profondità; un’idea notevolmente differente dalla concezione del Daishonin. Nichido affermava giustamente che, per quanto il capitolo “Espedienti” (Hoben) fosse inferiore al capitolo “Durata della vita del Tathagata” (Juryo), doveva essere recitato per scartarne il significato letterale e interpretarlo alla luce del capitolo “Durata della vita”.
Lo spirito di itai doshin, essenziale alla propagazione, era davvero lontano.

All’inizio del quindicesimo secolo appariva chiara la necessità di una spinta riformatrice. Il nono patriarca Nichiu si incaricò di realizzare il “ritorno all’ortodossia”: egli comprese che nella scuola Fuji si era persa la linfa vitale dell’insegnamento di Nichiren, cioè il conseguimento della Buddità nella forma presente e la propagazione della Legge. Constatò anche la scomparsa dello spirito della propagazione e della confutazione delle false dottrine. Si dedicò quindi alla propagazione assentandosi per lunghi periodi dal Taiseki-ji e spingendosi fino al nord del Giappone. Approfittando della sua assenza, il monaco incaricato dei servizi di guardia, d’accordo con i monaci anziani, vendette il Taiseki-ji a un signore della zona, per un’esigua somma. Il Taiseki-ji cambiò proprietario e divenne, per sei anni, luogo di altri culti. Al suo ritorno, Nichiu per prima cosa espulse i monaci colpevoli e ricomprò il Taiseki-ji.
Ultimo stratagemma monacale di questo periodo fu il concetto di “cuore della Legge” (hokon) per descrivere la trasmissione della Legge da un patriarca all’altro, come se una sorta di “entità spirituale” passasse durante il trasferimento della carica, come “acqua versata da un recipiente all’altro”, permettendo così al successore di raggiungere subito l’Illuminazione.
Ma il Gosho afferma: «Nichiren si sforzò di risvegliare tutti gli abitanti del Giappone alla fede nel Sutra del Loto, affinché potessero loro stessi condividere questa eredità e conseguire la Buddità» (Gosho Zenshu, 1337). Il “cuore della Legge” è un’invenzione esoterica dei monaci volta a creare sui credenti laici un’autorità maggiore venata di superstizione.

Nel 1718 Nichikan Shonin – che iscrisse il Gohonzon davanti al quale i membri della Soka Gakkai oggi recitano Daimoku – venne nominato ventiseiesimo patriarca. Consapevole della confusione dottrinale, ripristinò all’interno della scuola lo studio degli insegnamenti, impegnandosi a far crescere nuovi discepoli. Pur essendo proibito il dibattito religioso, Nichikan non si sottrasse al confronto scritto con altre correnti buddiste, sottolineando anche l’importanza della propagazione: «Le menti di coloro che dimenticano i quattro princìpi fondamentali e la pratica di shakubuku – scrisse – sono simili a quelle di coloro che disprezzano la Legge». Il coraggio di Nichikan ispirerà il primo consistente movimento laico di propagazione.
A Kanazawa, nei pressi di Nagano, molti laici cominciarono a praticare grazie a Fukuhara Akifusa, che aveva approfondito la fede sotto la sua guida.
L’area di propagazione si estese fino a regioni lontane dai templi della scuola Fuji. Nel 1726, grazie a questo movimento, a Kanazawa furono convertite dodicimila persone.
Nichikan morì il 19 agosto 1726 mentre recitava Daimoku. Il giorno prima aveva composto la sua ultima poe­sia:

«Eterni sono l’acqua e il vento, uguali il Budda e il comune mortale. Fusi sono l’universo e la mia vita che serenamente procede. Il fiore della mia vita ora appassisce nell’Ultimo giorno della Legge eppure proviene dal seme di un passato senza inizio».

Ma prima di arrivare al 1930 – data della fondazione della Soka Gakkai e dell’inizio della propagazione mondiale – il sangha del Daishonin doveva passare ancora attraverso grandi difficoltà.

5 / DA NICHIKAN A MAKIGUCHI

Religione come centro di controllo e di potere sulla popolazione: questo è ciò che è accaduto in Giappone a partire dal diciassettesimo secolo. Solo con Makiguchi e Toda nasce il sangha armonioso descritto dal Gosho come proposto ancora oggi dalla Soka Gakkai.

Nel 1632 i templi buddisti divennero centri statali che gestivano tutti gli atti amministrativi e le cerimonie della vita quotidiana dei laici del distretto (danto). Il tempio rilasciava un “certificato di appartenenza” senza il quale era impossibile lavorare, spostarsi o vivere in pace. Chi disobbediva veniva privato del certificato ed escluso dalla vita sociale. Grazie a questo sistema danka, i templi incrementarono il loro potere politico ed economico. Il governo proibì ogni dibattito religioso e ogni forma di propagazione. Malgrado tali divieti, i laici continuarono nelle attività di propagazione suscitando la repressione statale: il clero impaurito tolse loro ogni appoggio lasciandoli completamente isolati.
Nel 1764 alcuni laici furono perseguitati e uccisi a Sendai; nel 1784 a Ina e nel 1822 a Owari, vicino Nagoya. In questo periodo, per non perdere i propri appoggi politici, il trentatreesimo patriarca Nichigen offrì un Gohonzon con dedica a un tempio shintoista.
Il cinquantaseiesimo patriarca Nichiden nel 1853 iniziò il suo incarico sforzandosi di far conoscere e studiare gli insegnamenti del Daishonin. Con spirito di shakubuku, indirizzò una lettera di rimostranze al responsabile per le questioni religiose del governo che gli costerà tre giorni di prigione.

Nel 1904 un censimento delle scuole buddiste attribuiva ottantasette templi e 48.000 laici alla scuola Nichiren Shoshu, e 3.685 templi e due milioni di laici alla Minobu.
Qual era la causa della grande differenza numerica tra le due scuole? Di sicuro l’avversione dei laici per la corruzione dilagante.
La ricerca di denaro portò i monaci del Taiseki-ji alla pubblicazione di giornali, fra cui il Byakurenge inaugurato il 5 giugno del 1901. Un articolo – La madre dei kudoku – avvertiva i lettori dei pesanti effetti karmici che avrebbero subìto se non avessero acquistato il giornale. Nelle pagine interne apparivano pubblicità e proposte per l’acquisto – a un prezzo considerevole – di Gohonzon ricamati con fili d’oro. Sul Dai-Nichiren, altra pubblicazione, apparvero testi che inneggiavano al Nembutsu e pubblicità per la vendita di una statua di Nichiren “Shonin” (senza il prefisso onorifico Dai, perché all’epoca Nichiren non era più riconosciuto come Budda originale, ma solo come santo).
In altri numeri si presentavano un “manuale di preghiera Kito” (insieme di preghiere shintoiste e shingon) e di medicamenti provenienti dalla scuola Nembutsu.
Nel 1872 una legge autorizzò i monaci a mangiare carne, sposarsi e farsi crescere i capelli: ciò non fece che rendere ancora più “allegra” la vita dei preti al tempio.
Nel 1904 il Giappone entrò in guerra contro la Russia e il cinquantaseiesimo patriarca Nichio indirizzò un incoraggiamento a tutti i praticanti arruolati: «Mi auguro che combattiate fieramente». Organizzò anche speciali preghiere per la fortuna dell’imperatore e per la vittoria del Giappone. In seguito organizzò una vendita di “Gohonzon che assicurano la vittoria della guerra”.

Il 6 marzo 1926 Nichiko Hori, grande studioso del Daishonin, divenne cinquantanovesimo patriarca con il nome di Nichiko Shonin. Tentò di avviare una riforma del Taiseki-ji e di mettere un freno alla corruzione. Ma la sua azione moralizzatrice si scontrò con l’opposizione del Dipartimento amministrativo. Per questo venti mesi dopo si dimise. In un libro, La confessione, espose i motivi della sua scelta e le continue interferenze cui era sottoposto. Scrisse che non poteva permettere che monaci corrotti distruggessero l’insegnamento del Daishonin. Due erano le ragioni delle dimissioni: il sabotaggio di ogni sua iniziativa da parte dell’Ufficio amministrativo e il desiderio di curare l’edizione completa degli scritti del Daishonin, verificandone l’autenticità e curandone pubblicazione e divulgazione. Non riuscendo ad attuare le necessarie riforme, Nichiko scelse di dedicarsi alla pubblicazione del Gosho.
La passione per lo studio aveva caratterizzato tutta la sua esistenza e, anche dopo la rinuncia al patriarcato, rimase una figura rispettata per la sua autorevolezza dottrinale.
Tre mesi dopo le sue dimissioni, Makiguchi e Toda si convertirono al Buddismo di Nichiren Daishonin e, ben presto, tra loro e Nichiko nacque un profondo rispetto reciproco. Questo rapporto si stabilì a tal punto che durante la Seconda guerra mondiale la Nichiren Shoshu richiedeva la presenza di Nichiko quando doveva confrontarsi direttamente con la Soka Kyoiku Gakkai. Dopo la guerra Toda completò insieme a lui la compilazione del Gosho, che fu pubblicato il 28 aprile 1952, in occasione del settecentesimo anniversario della proclamazione di Nam-myoho-renge-kyo.
Così nasce il nuovo sangha laico.

6 / TSUNESABURO MAKIGUCHI

Le radici del sangha moderno si trovano nella decisione di Makiguchi di aderire all’insegnamento del Daishonin. Il suo atteggiamento anticonformista lo portò a condividere e a diffondere il pensiero buddista che mette in risalto l’unicità di ciascuno. La sua integrità lo condusse in prigione fino alla fine dei suoi giorni.

Tsunesaburo Makiguchi (1871-1944), il fondatore della Soka Gakkai e quindi della comunità buddista di cui facciamo parte, è stato una delle figure più importanti del Giappone moderno. Un rivoluzionario che per tutta la vita si è ribellato contro il principio che gli esseri umani debbano essere “utili” o sudditi del potere costituito: un pensiero che lo condusse in carcere e gli costò la vita. Di lui e su di lui esiste una vasta produzione letteraria che trascuriamo in questa sede, ma che andrebbe studiata con attenzione.
In questa puntata dobbiamo partire dal 1928. Makiguchi aveva cinquantasette anni: spinto da un amico inizia a studiare il Sutra del Loto e rimane influenzato dall’interpretazione del testo di Nichiren Daishonin che trova perfettamente corrispondente alla sua visione della vita. Soprattutto è la prova concreta nella pratica religiosa che lo attrae, oltre al fatto che la fede si basa sulla Legge mistica e non su una divinità esterna all’essere umano. Inoltre il Daishonin gli offre una prospettiva nuova sul ruolo positivo che la religione può svolgere verso la società.
Si converte al Buddismo insieme al suo giovane discepolo Josei Toda. Il 18 novembre 1930 fonda la Soka kyoiku Gakkai, la “Società educativa per la creazione di valore” che riuniva educatori ispirati dai suoi princìpi pedagogici e dalla loro connessione col Buddismo del Daishonin. Nel 1937 l’associazione conta già sessanta partecipanti e nel 1939 si tiene la prima riunione generale: Makiguchi diventa presidente e Toda direttore. Nel ’40 i membri del sangha sono quintuplicati e alla soglia della Seconda guerra mondiale crescono fino a tremila. Fin dalla sua conversione Makiguchi si dedica allo studio rigoroso del pensiero del Daishonin: la possibilità di condurre un’esistenza dedicata al massimo bene per sé e per gli altri lo affascina totalmente.

Per questo la prima fondamentale attività del sangha fu quella che lui definì zadankai: incontri in piccoli gruppi dove i praticanti potevano raccontare le esperienze concrete della loro pratica buddista. Da quel momento, fino ai nostri giorni, e in tutto il mondo, questo tipo di riunione è diventata la base irrinunciabile delle attività della Soka Gakkai.
Nel Soka Kyoikugaki Taikei scrive: «Il Buddismo segna una netta linea di demarcazione tra verità e valore. Nichiren, nella Raccolta degli insegnamenti orali afferma: “Comprensione è un altro termine per saggezza. La fede rappresenta il valore o il prezzo che noi attribuiamo a un gioiello o a un tesoro, e la comprensione rappresenta il gioiello stesso. È per mezzo della sola parola fede che possiamo acquistare la saggezza dei Budda delle tre esistenze. […] Al di fuori della fede non può esserci nessuna comprensione, e al di fuori della comprensione non può esserci alcuna fede”». Nel 1941 il Giappone attacca Pearl ­Harbor e il governo impone a tutti i gruppi religiosi di custodire il talismano shintoista come simbolo di sostegno e condivisione della guerra. Per paura di persecuzioni la Nichiren Shoshu accetta l’imposizione, Makiguchi – al contrario – la rifiuta. Nel maggio del 1943 viene arrestato per la prima volta e le riunioni di discussione iniziano a essere sorvegliate dalla “polizia del pensiero”. A giugno dello stesso anno, istigato dal prete Jimon Ogasawara, il patriarca Nikkyo convoca Makiguchi al Taiseki-ji per costringerlo ad accettare il talismano: l’anziano educatore afferma che non accetterà mai una cosa simile, perché ciò avrebbe voluto dire andare contro l’insegnamento del Daishonin.
La Nichiren Shoshu lo espelle dalla scuola Fuji insieme a tutti gli altri responsabili.

Il 5 luglio del 1943 Makiguchi si reca a una riunione e si ferma fino a tarda notte a parlare con i membri, e il padrone di casa lo invita a fermarsi per la notte.
La mattina seguente due poliziotti della stazione di Shimoda lo arrestano, poco dopo anche Toda e diciannove membri della Soka vengono imprigionati: questi ultimi ritrattano e vengono lasciati liberi. Toda rimane con il suo maestro.
Il 18 novembre 1944 Makiguchi muore. Il suo atteggiamento fermo davanti a una persecuzione così dura viene ereditato da Toda e diventa il fondamento della futura Soka Gakkai che verrà ricostruita nel dopoguerra. Per comprenderlo è significativo leggere cosa Toda scriveva ai suoi parenti: «Non risparmio i miei sforzi nel recitare sinceramente Gongyo mattina e sera e nel recitare Daimoku per altre cose particolari. Aspettate tranquillamente, con pazienza. Per noi la cosa più importante è la fede. Noi diciamo di aver problemi, ma questi, di fronte alle avversità che il Daishonin affrontò durante la sua vita, sono assolutamente lievi. Con questa consapevolezza dobbiamo rafforzare ancora di più la nostra fede. Noi, che viviamo con i grandi e illimitati benefici, non possiamo lamentarci».

7 / LA SUA COSTITUZIONE NEL PROGETTO DI JOSEI TODA

Il secondo presidente della Soka Gakkai, Josei Toda, vedeva nella perenne ricerca dell’approfondimento della fede di ciascun membro il fondamento di una organizzazione solida, senza crepe. Dove gli individui perseguono un obiettivo comune senza tralasciare di sviluppare se stessi e la propria fede esiste un’enorme potenzialità di sviluppo.

Uscito di prigione gravemente malato, Josei Toda desiderava solo ricostruire la Soka Gakkai. Prima della guerra i membri erano circa tremila, ora – il 18 novembre 1945, in occasione della commemorazione della morte di Makiguchi – si contavano una decina di persone. Le parole dei presenti, che per paura avevano lasciato la fede, disgustavano Toda. Uscito dalla riunione, si sentiva solo e cominciò a recitare una sua poesia: «Ricevo ora l’ordine del Budda: realizza la diffusione della Legge mistica». A stento tratteneva le lacrime. Si ricordò di un verso: «Il leone non cerca mai compagni». Si rese conto che la sua solitudine nasceva dal desiderio di avere compagni: ma era davvero così debole? «Il leone – pensò – non cerca compagni, sono gli altri a seguirlo. Kosen-rufu è un compito da leoni e, se lui era un leone, i compagni lo avrebbero seguito».
Questo particolare momento è alla base dello sviluppo della Soka Gakkai: in quel periodo nessuno comprendeva la determinazione di Toda che avrebbe poi prodotto quei grandi risultati visibili a tutti.
Nel ’45 egli cercava di immaginare quale struttura fosse più adatta alla nuova Soka Gakkai, perciò decise di spiegare chiaramente ai responsabili come l’organizzazione avrebbe dovuto muoversi in quel momento confuso in cui i gruppi religiosi si laceravano in dispute interne. «I compagni che hanno la stessa fede e vivono per un comune obiettivo – disse – si proteggono a vicenda, anche a costo della vita. […] La democrazia buddista si basa sul principio di non dualità di materia e spirito: le due componenti della vita. Senza questa filosofia non si potrà costruire la democrazia che le persone reclamano a gran voce. […] Possiamo conservare la nostra unità perché la fede è la piattaforma su cui poggia la Gakkai. Immaginiamo che la fede rappresenti l’albero motore dell’organizzazione. Anche se gli ingranaggi si muovono a gran velocità, anche se la Soka Gakkai dovesse espandersi rapidamente, non dovremmo avere alcun timore, purché l’asse portante della fede rimanga in piena efficienza. Io mi sto sforzando in ogni modo di realizzare questo obiettivo, ma il requisito essenziale è una forte fede».

Toda era convinto che i sistemi sociali avessero un’enorme importanza per l’umanità, ma che fossero del tutto impotenti a liberarla dalle catene del destino. Per questo motivo non sarebbe stata possibile una vera democrazia senza prima sviluppare il potenziale di ognuno. «Se metteremo la fede davanti a tutto e il Buddismo di Nichiren Daishonin come base – continuò – potremo avanzare fino alla realizzazione di kosen-rufu mantenendo una splendida amicizia al nostro interno». I volti degli ascoltatori erano perplessi e Toda provò una certa irritazione. «Forse ora non riuscite a capire perché io stia parlando di queste cose, ma ricordate: se solo dovesse accadere il minimo contrasto al nostro interno, dovuto al fatto che viene dimenticato lo scopo ultimo della nostra comunità e se si dovesse giungere a una spaccatura, la Soka Gakkai scomparirebbe. […] Arrecare disturbo all’unità dei credenti è uno dei cinque peccati più gravi. Se la fede all’interno della Soka Gakkai rimane pura, essa sarà in grado di conservarsi in armoniosa unità, come insegnato dal Daishonin. […] Se ognuno si sforzerà di manifestare il proprio potenziale perseguendo allo stesso tempo l’obiettivo comune, l’unità si rafforzerà naturalmente. Allora non dovremo temere nulla: il Daishonin afferma che: “Nichiren e i suoi discepoli […] poiché hanno lo stesso spirito di ‘diversi corpi stessa mente’, realizzeranno sicuramente la loro missione di propagare il Sutra del Loto”. […] Dobbiamo continuare a sforzarci facendo riferimento all’insegnamento di Nichiren Daishonin. Questo è lo spirito autentico della Soka Gakkai».

Dopo la morte di Makiguchi, solo Toda continuava a svolgere la funzione di “albero motore”. Sapeva che un’organizzazione per kosen-rufu sarebbe stata differente da qualsiasi altra e che doveva essere senza precedenti: il corpo umano rappresenta una forma di organizzazione perfetta. Non può esistere un sistema sociale senza struttura. Un’organizzazione potrà creare valore solo se sarà capace di comunicare a ogni membro il percorso per raggiungere gli obiettivi e se ogni appartenente ne condividerà i benefici.
«La Soka Gakkai – concluse – è un gruppo di messaggeri del Budda che guida le persone infelici verso il Gohonzon. Di conseguenza non cercate di approfittare della fede o dell’attività di propagazione. Se solo conosceste le tremende retribuzioni che derivano dal fatto di abusare del Buddismo, non fareste nulla di tutto ciò».
Il nostro sangha potrà svilupparsi all’infinito nel momento in cui ogni praticante – prescindendo dalla funzione che svolge nella Soka Gakkai – farà sua la determinazione del maestro e assumerà come suo compito personale la realizzazione di kosen-rufu.

per approfondire:
La rivoluzione umana (RU), vol. 2, esperia, 2007

8 / LA RICOSTRUZIONE DELLA SOKA GAKKAI

Affinché la Soka Gakkai diventasse un’organizzazione solida, era necessario che tutte le sue parti i gruppi, i settori, le Divisioni fossero perfettamente connesse l’una con l’altra. Per questo Toda spronava i membri a sviluppare una fede sincera.

La domanda che assillava Toda quando rifletteva sulla nuova struttura del sangha era: «Quale sarà la condizione necessaria per sviluppare un’organizzazione come se si trattasse di un essere vivente?» (RU, 5, 47). La sua visione era totalmente proiettata nel futuro e, ancora una volta, non trovava nessuno pronto a condividerla con lui.
Pochi mesi dopo la sua nomina a presidente, sciolse la debole organizzazione del dopoguerra e ne creò una totalmente inedita. Si chiedeva anche come potesse infondere in essa una nuova vita piena di passione per kosen-rufu. Nel Giappone di quel periodo, come risposta alle difficoltà delle persone, nascevano da un giorno all’altro e proliferavano gruppi neoreligiosi con forti componenti sincretiche e Toda si rendeva conto che le sue attività, fino a quel momento, non avevano sortito grandi risultati.
«L’organizzazione – pensava – deve essere vitale sotto tutti i punti di vista. Occorre abbandonare l’idea che un’organizzazione esista per il semplice fatto che le persone si riuniscono. Quando ogni pezzo di un complesso ingranaggio diventa solido e capace di connettersi perfettamente agli altri, l’intera organizzazione può iniziare a muoversi come un enorme essere vivente e funzionare per la felicità delle persone e la prosperità della società» (RU, 5, 48).

C’erano i capitoli, il Dipartimento di studio, le Divisioni donne, giovani donne e giovani uomini, il giornale, di lì a poco sarebbe stato pubblicato il Gosho zenshu, la raccolta degli scritti di Nichiren Daishonin, curato dal grande studioso reverendo Hori e sarebbero stati creati i settori, i gruppi, i nuclei per rafforzare l’attività di propagazione. Questi ingranaggi gli apparivano come gemme brillanti anche se apparentemente erano ancora rozze schegge di pietra. Per trasformarle in gioielli avrebbe dovuto sforzarsi di perfezionarle e lucidarle continuamente. Giunse alla conclusione che il cuore delle persone era influenzato dalle formalità diventando così facile preda delle circostanze.
In sintesi Toda stava concretizzando la sua visione planetaria: la realizzazione attraverso un pacifismo assoluto di un umanesimo globale costituito da persone compassionevoli e capaci di assumersi la responsabilità del cambiamento del loro ambiente di vita.
«Una riforma organizzativa – nell’idea di Toda – deve sempre nascere da una trasformazione che avviene nel cuore delle persone, dalla rivoluzione all’interno delle loro vite. Le idee e i pensieri dei fedeli si riflettono sempre nell’organizzazione» (RU, 6, 108). Per questo motivo la Soka Gakkai continua ad avanzare grazie agli sforzi dei suoi membri e non per istruzioni che vengono dall’alto. Una comunità che si muove come un complesso sistema vivente, nel quale ognuno svolge una funzione indispensabile al tutto, l’unità dei suoi membri basata sull’assoluta eguaglianza tra la “base” e i “vertici” diventa quindi un fattore decisivo (cfr. RU, 5, 176).
Eppure Toda sentiva che ancora mancava qualcosa, un ingrediente essenziale: la Soka Gakkai era un’organizzazione basata sulla Legge mistica, perciò il suo perno non poteva essere altro che una fede sincera. Mancava solo un Gohonzon iscritto per la Soka Gakkai. «Senza questo prezioso e indistruttibile pilastro, la Soka Gakkai, l’organizzazione laica della Legge mistica, non poteva avere la forza dell’essenza vitale» (RU, 5, 48).
Per questa ragione scrisse al patriarca: «Come rappresentante della Soka Gakkai, con la presente chiedo al patriarca di rispondere al nostro sincero desiderio e di affidarci un Gohonzon affinché si possa mettere in atto una grande propagazione e realizzare il grande scopo di kosen-rufu» (RU, 5, 49).

Due giorni dopo il patriarca consegnò nelle sue mani il Gohonzon dedicato alla realizzazione di kosen-rufu che fu poi inaugurato il 22 luglio dello stesso anno presso l’auditorium della Kaisei Gakuin.
Oggi questo Gohonzon della Soka Gakkai è custodito nel Kosen-rufu Daisedo (Palazzo del grande voto di kosen-rufu) ed è il cuore pulsante di kosen-rufu mondiale.
Scrive Daisaku Ikeda: «In definitiva si può affermare che le attività condotte da Toda negli ultimi sette anni della sua vita presero avvio quel giorno. Ci sono persone che trascorrono anche quaranta o cinquant’anni ripetendo sempre le stesse azioni prive di significato. Al contrario le attività più importanti che Toda svolse coprirono un periodo di soli sette anni, ma crearono le basi di un movimento destinato a durare nel tempo. Il significato della vita umana non dipende dalla sua lunghezza, ma dal suo contenuto» (RU, 5, 93).

9 / RELIGIONE, ORGANIZZAZIONE E DEMOCRAZIA

Riflessione su democrazia e organizzazione.   

Perché una comunità religiosa deve essere organizzata?
Nel 1987, alla conferenza euro-africana di Parigi, Daisaku Ikeda affermò: «Potremmo paragonare kosen-rufu a una corrente: l’organizzazione esiste per aprire la strada alla corrente dello sviluppo della nostra fede. L’organizzazione di kosen-rufu irriga la grande regione della vita umana. Trasmette al cuore di ognuno conforto, incoraggiamento e vitalità. […] In realtà chi beneficia dell’organizzazione e ne ha fatto abitudine, spesso non ne comprende più l’importanza. Quando rimaniamo lontani dall’organizzazione che ci permette di approfondire la nostra fede, sentiamo profondamente la sua utilità. Anche il corpo umano è una perfetta organizzazione: un organismo vivente è il risultato dell’armonioso funzionamento di tutti gli organi interni. Se ogni parte non comunica con l’insieme, le funzioni vitali non possono compiersi perfettamente. Lo stesso vale per la società umana. Se miriamo allo sviluppo di kosen-rufu è impossibile restare fuori dalla “corrente del grande fiume” dell’organizzazione. Senza di essa le attività di kosen-rufu non possono progredire. Non si può approfondire la fede, né realizzare la rivoluzione umana. Quando kosen-rufu sarà realizzato, probabilmente l’organizzazione non sarà più indispensabile, ma non è realistico pensarci adesso. Inoltre, è evidente che la struttura dell’organizzazione si modificherà in funzione del progresso di kosen-rufu. Alcuni criticano il principio stesso dell’organizzazione, pensando che la sua esistenza limiti la loro libertà: questa è una visione parziale del concetto di organizzazione. La fede non è qualcosa che si può realizzare unicamente per sé stessi. In ogni caso una “fede solitaria” si traduce alla fine in una pratica egoistica. Quindi non è un reale allenamento, ed è dunque impossibile forgiare uno spirito incrollabile e una vita pura. È solo attraverso il contatto tra persone diverse e l’incoraggiamento reciproco che si può approfondire la fede. In ciò si trova la ragion d’essere dell’organizzazione».
A questo punto la domanda successiva è:

Quale relazione c’è tra democrazia e la struttura di una comunità buddista?
Il tema andrebbe visitato sia all’interno di un dibattito sulla democrazia, sia – soprattutto – dal punto di vista dell’insegnamento di Nichiren Daishonin.
Dal complesso discorso che nel corso dei secoli ha permesso il continuo approfondimento del ruolo della democrazia, si potrebbe estrarre la definizione minima di democrazia come “metodo per prendere decisioni collettive”.
Un gruppo si può definire democratico quando vengono rispettate due regole: a) tutti partecipano alla decisione direttamente o indirettamente b) la decisione viene presa dopo una libera discussione.
Le difficoltà si presentano quando una democrazia politica non riesce a trasformarsi in democrazia sociale e abbandona i suoi valori fondamentali. «Quando parliamo di democrazia – scriveva il filosofo Norberto Bobbio – non ci riferiamo soltanto a un insieme di istituzioni, ma indichiamo anche una generale concezione della vita. Nella democrazia siamo impegnati non soltanto come cittadini aventi diritti e doveri, ma anche come esseri umani che debbono ispirarsi a un certo modo di vivere e comportarsi con se stessi e con gli altri».
Le otto puntate precedenti di questa serie dedicata alla comunità buddista avevano lo scopo di rispondere ai quesiti iniziali chiarendo che la vita di un ­sangha poggia sulla visione buddista della vita universale e non su un sistema rappresentativo così come lo conosciamo noi.

La visione del presidente Toda
Queste stesse domande furono poste al presidente Toda nell’immediato dopoguerra. «I princìpi fondamentali della democrazia – rispose a un giovane – sono la libertà, l’uguaglianza e la fratellanza: li condivido nel modo più assoluto. Tuttavia, alla luce dell’insegnamento di Nichiren Daishonin, questi princìpi esprimono solo una parte della verità». Toda intendeva dire che i sistemi democratici hanno il limite di evidenziare solo aspetti parziali della vita e quindi non tengono conto della Legge di causa ed effetto, dell’interdipendenza di tutti gli esseri viventi, delle tre esistenze di passato, presente e futuro, della non-dualità di corpo e mente e, soprattutto, della suprema santità della vita. Princìpi questi sui quali si fonda invece la struttura buddista del sangha. «Ecco allora che – continua Toda – sebbene la democrazia oggi sostenga i princìpi di libertà e uguaglianza, si tratta in realtà di una interpretazione superficiale di questi concetti» (cfr. RU, 2, 30).

Perché il sangha Soka Gakkai è organizzato?
«Le religioni – scrive Daisaku Ikeda nel suo dialogo col sociologo Brian Wilson – derivano gran parte della loro influenza dall’insegnare come raggiungere l’armonia con le origini dell’universo. La parola religione ha un’etimologia latina e significa “legare di nuovo” [religo], ciò significa ri-stabilire legami con la causa ultima. Il carattere cinese con cui è scritta la parola giapponese per religione, shukyo, significa “insegnare l’origine delle cose” […]. È vero che alcuni leader molto spirituali hanno mostrato forti resistenze alla forma organizzativa. È invece interessante notare come il Buddismo l’accolga di buon grado. Infatti l’Ordine, o sangha, il corpo organizzato di monaci e fedeli, è annoverato tra i tre tesori ai quali tutti i buddisti professano fede. Questo accade perché il Buddismo è maggiormente interessato alla crescita dell’individuo in questa esistenza e a contribuire al benessere di tutta la società. Per questa ragione il Buddismo accoglie, invece di rifiutare, l’elemento organizzativo».

Lo scopo fondamentale della comunità buddista Soka Gakkai è quello di trasmettere a ogni suo membro la pratica corretta dell’insegnamento di Nichiren Daishonin in modo da realizzare la pace mondiale (kosen-rufu). Per questo motivo il nostro sangha non può abbracciare una forma di “democrazia rappresentativa” attraverso la quale la comunità è gestita da membri “eletti” da altri membri. Non dimentichiamo che il presidente Toda aveva pensato a una struttura che funzionasse come un organismo vivente.
In un organismo vivente possiamo individuare due aspetti fondamentali: l’assoluta importanza di ogni singola funzione e l’obiettivo comune di tutte le funzioni, cioè il mantenimento ottimale della vita. La “democrazia” di un organismo vivente si bilancia in questo modo. Il Budda originale Nichiren Daishonin si riferisce ai due medesimi aspetti della vita quando spiega come debbano unirsi in comunità i suoi discepoli: «In generale che i discepoli di Nichiren, preti o laici, recitino Nam-myoho-renge-kyo con lo spirito di “diversi corpi, stessa mente”, senza alcuna distinzione fra loro, uniti come i pesci e l’acqua, questo si chiama eredità della Legge fondamentale della vita. In ciò consiste il vero scopo della propagazione di Nichiren. Se è così anche il grande desiderio di un’ampia propagazione potrà realizzarsi. Ma se qualcuno dei discepoli di Nichiren distrugge l’unità di “diversi corpi, stessa mente”, sarà come chi distrugge il proprio castello dall’interno» (RSND, 1, 190).

«L’insegnamento buddista – scrive Ikeda – attribuisce una grande importanza al senso di gratitudine: gratitudine verso i genitori, il maestro, la società e tutto il genere umano. Esso considera la nostra esistenza inseparabile dalle altre forme di vita e ci insegna a essere grati per l’esistenza delle altre persone come per la nostra. Il principio di itai doshin si basa su questo elemento. La società in cui viviamo è pervasa di antagonismo ed egoismo, e piena di persone che vedono soltanto le differenze che esistono tra loro. Dobbiamo saper riconoscere questa realtà. C’è però una forza capace di superare tutti gli ostacoli e di creare una società in cui prevale la vera umanità, nonostante la realtà che ci circonda: questa forza siamo noi. Inseparabili, secondo lo spirito di itai doshin, dobbiamo procedere verso il compimento della grande missione affidataci da Nichiren Daishonin. Il Gohonzon e il Gosho sono la base su cui poggia la nostra unità. Le persone che seguono solamente le proprie opinioni e i propri istinti personali saranno alla fine in contraddizione con loro stesse (divise nel corpo e nella mente) e cadranno in un vortice di lamentele e di scontentezza, di odio e gelosia. Dove invece prevale lo spirito di itai doshin, ognuno saprà riconoscere le battaglie che gli altri, ciascuno secondo le proprie capacità, stanno combattendo. Risulterà così chiaro come ogni membro, assumendosi le responsabilità che gli competono, contribuisce alla crescita graduale dell’intero movimento, nonché al proprio sviluppo» (cfr. La vera entità della vita, lezioni sugli scritti del Daishonin, Esperia, Milano, 2005, pag. 121).

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