di Maria Lucia De Luca e Manuela Vigorita

Adonis, pseudonimo di Ali Ahmad Said Esber, è nato nel 1930 a Kassabine, in Siria, e si è laureato in Filosofia all’Università di Damasco. Ha svolto attività di insegnante e giornalista in Libano e attualmente risiede a Parigi. Studioso instancabile della tradizione culturale araba, è considerato uno dei maggiori poeti contemporanei ottenendo ampi riconoscimenti a livello internazionale. In Italia ha pubblicato tra l’altro: Nella pietra e nel vento (1999), Siggil (2000), In onore del chiaro e dello scuro (2005), La musica della balena azzurra (2005)

 


L’universo tutt’uno a me
Le mie palpebre chiudono le sue
L’universo alla mia libertà fuso,
chi di noi due partorito ha l’altro?

Sono i versi di una delle prime poesie di Adonis, il più importante poeta arabo contemporaneo. Parole che diventano legami, connessioni, fili. Espressione perfetta di quello che in queste pagine abbiamo provato a chiamare “spirito poetico”.
Abbiamo intervistato Adonis a Roma lo scorso marzo, ed è anche intorno a questo incontro che si è costruito questo speciale.

Il sottotitolo di Buddismo e società è “per la pace, la cultura e l’educazione”. Secondo lei, all’interno del dialogo e della comunicazione tra persone differenti, che funzione hanno la cultura e la poesia?
Vorrei premettere che ho una grande considerazione per il Buddismo, perché si colloca al di fuori dei sistemi religiosi monoteisti. Il Buddismo per sua natura è dialogo.
Credo che lo spazio che può aprire la poesia è come lo spazio che può essere aperto dall’amore: non ha limiti. L’altro non è soltanto qualcuno con cui dialogare, l’altro è una parte di me, del mio io. Ed essendo l’altro una parte di me, per trovare me stesso devo passare attraverso l’altro.
È questa la poesia, almeno per me.

Come ha scelto di essere poeta?
Io sono alla ricerca della poesia e ogni giorno attendo di diventare poeta. La poesia è infinito e si diventa in maniera continua e perpetua poeti. La poesia è un divenire, ed essere poeta in realtà è un movimento verso la poesia. Quando un poeta sente di essere diventato perfetto quello sarà il segno della sua fine.

Quale ruolo ha secondo lei la poesia nella costruzione dell’essere umano e della società?
Ci sono molte teorie di taglio ideologico, politico, sociologico, ma non hanno nulla a che vedere con la poesia. A volte la influenzano, ma questa influenza è una deformazione della poesia di cui bisogna sbarazzarsi.
Scrivere poesia è creare nuovi rapporti tra il mondo e le parole, e attraverso tale operazione generare nuove immagini del mondo e dell’essere umano. Scrivere è creare, è sperare, è cambiare.
Quando però utilizziamo la poesia come mezzo, come strumento, non si cambia nulla, anzi si uccide la poesia.
Non bisogna quindi chiedersi qual è il ruolo della poesia, ma qual è il ruolo del lettore, della gente. Bisogna parlare del ruolo del paese, del popolo, della cultura nei confronti della poesia, su questo bisogna riflettere.
È la politica che si domanda che ruolo dovrebbe avere la poesia, ma dietro questa domanda si camuffano altre esigenze.

Nelle grandi librerie c’è solo un piccolo spazio dedicato ai poeti…
A maggior ragione bisognerebbe riflettere di più, porsi delle domande sulla società, sul ruolo che ha nei confronti della poesia, perché quella che sembra una regressione della poesia in realtà è una regressione della società.
Una società che dimentica la poesia non ha cuore, non ha senso, dovrei dire forse che è una società che ha paura, scheletrica, vuota. Perché una società senza poesia è una società senza amore, senza umanità, che possiede solo beni materiali ma non ha amicizia, non ha il senso del vero.
Quella che superficialmente viene chiamata “crisi della poesia” è in realtà una crisi culturale, una crisi di civiltà, di cui la poesia non è responsabile. Ci sono infatti anche oggi, anche in questa crisi generale, grandi poeti che a livello numerico sono molti di più rispetto alle epoche passate. Questo vuol dire che il problema riguarda la società, la nostra civiltà, non la poesia.

Accade in tutte le culture o solo nella civiltà occidentale? Nel mondo islamico per esempio c’è un’attenzione diversa verso la poesia?
Devo dire che è un fenomeno internazionale, ma ci sono delle differenze di grado, di intensità.
Nel mondo arabo, e in tutto l’Oriente, c’è maggiore vicinanza tra la gente e la poesia, forse perché il livello di diffusione della tecnologia da noi non è ancora molto elevato. In Occidente invece le persone hanno un modo di vivere dominato della tecnologia, dai media, e questo crea grossi conflitti con la poesia. Anche l’amore è in crisi in Occidente, a causa dell’egemonia della tecnologia che toglie tempo ai rapporti umani.
Malgrado ciò il livello di comprensione della poesia è sicuramente più profondo in Occidente che in Oriente, perché è unacomprensione metafisica, legata ai problemi dell’esistenza, dell’essere umano, dell’avvenire. Potremmo dire che mentre nel mondo arabo, in Oriente o in Africa, una maggiore quantità di persone è vicina alla poesia, il mondo occidentale si distingue per la capacità di saperla comprendere meglio.

Come si fa a trovare lo spazio interiore per la poesia?
Per esempio imparare a memoria dei versi, che poi in alcuni momenti particolari risuonano nel cuore, potrebbe essere un allenamento utile anche per i giovani?
Bisogna cambiare il sistema educativo, altrimenti non cambia nulla. Quello che si fa oggi, quasi per abitudine, non basta. Si fanno incontri, letture, ci si ritrova in una ventina di persone, se ne parla sui giornali o sulle riviste, ma ci vorrebbe una vera rivoluzione soprattutto nel campo educativo. Una rivoluzione senza violenza, un nuovo concetto di rivoluzione, con calma, saggezza.
È alle donne che forse spetta fare questa nuova rivoluzione…

Cosa l’aiuta ad andare avanti in un mondo che, come lei dice, si sta impoverendo? A quale forza, a quale speranza possono aggrapparsi tante persone che fanno poesia, che fanno arte, che vogliono continuare a creare, per superare questa fatica del mondo, questa fatica di far vivere dentro di sé l’amore, l’apertura agli altri, la propria “rivoluzione”? 
L’esistenza stessa, vista dal punto di vista della creazione e del divenire, corrisponde a mio avviso a ciò che diceva Holderlin: l’uomo vive poeticamente su questa terra. La poesia fa parte integrante della nostra vita, è il luogo da dove viene la stessa vita. È il segno per eccellenza che indica che noi siamo qui e siamo vivi. Esattamente come l’amore.
Credo che l’esperienza storica possa insegnarci molto a questo proposito.
Guardiamo l’Italia per esempio. Ciò che fa l’identità italiana, l’essenza italiana, non è la politica, non è l’economia, non sono i costumi degli italiani, né l’ambito sociale. L’identità italiana è la sua creatività, è la creazione, è la poesia – che per me è la creazione più bella – accanto alle altre espressioni artistiche, alla musica, alla pittura.
Sono Dante, Leopardi, assieme agli scultori, ai pittori, ai musicisti, che danno il senso e creano l’identità italiana.
È una lezione storica che va analizzata, e va analizzata bene per comprendere davvero il posto della creatività e quello della poesia nella società italiana.

(Collaborazione e traduzione di Francesca Corrao)

Buddismo e Società n.130 – settembre ottobre 2008

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