A Firenze, nel 1981, Ikeda volle visitare il museo casa di Dante; a Bologna il primo giugno del ’94 dedicò la sua lectio magistralis a Leonardo da Vinci. Proprio il titolo di quella lezione ha suggerito il nome della testata dei giovani italiani: Il volo continuo. Presentiamo due estratti di Ikeda sul Sommo Poeta e il Genio Universale
Dante Alighieri
Dante nacque a Firenze, all’inizio dell’estate del 1265, un anno dopo la persecuzione di Komatsubara: era quindi quasi un contemporaneo di Nichiren.
Per Dante la prima grande prova fu la morte dell’amata Beatrice, che aveva incontrato quando entrambi avevano circa nove anni, serbando da quel momento per lei un amore segreto. Cos’è la morte? Cos’è la vita? Perché si vive? Disperato, cercò una risposta nella filosofia.
A trent’anni, già noto come poeta, divenne membro di una prestigiosa corporazione e da quel momento si distinse anche come uomo politico. Dante credeva con fermezza in un governo a servizio della gente ma, una volta raggiunti i vertici del potere, finì invischiato in un groviglio di conflitti e gelosie in seno alla vita politica fiorentina e venne esiliato dalla città con false accuse di atti illeciti. Questa fu la sua seconda prova.
Lui, che aveva dato tutto se stesso a Firenze, fu mandato in esilio dalla sua stessa città. «Più resistenza incontrano, più forti diventano le onde» è stato il mio motto fin da giovane. E così lo spirito di Dante, più veniva messo alla prova, più forte si faceva. Attese il momento opportuno, lo creò quasi, e dopo dieci anni e più d’esilio, cominciò a scrivere la Divina Commedia gettandovisi anima e corpo.
Il poema racconta cosa succede dopo la morte, illustrando con vividi dettagli la retribuzione che ciascuno riceve in base a come ha vissuto veramente. È un attacco al male che arreca agli esseri umani infelicità e sofferenza, un attacco a gelosia, inganno, arroganza, violenza, menzogna e tradimento.
(tratto da NR, 266, 267 e da Cari amici italiani, IBISG, 2003)
Leonardo da Vinci
Credo che la «volontà di dominare se stessi» sia il primo insegnamento che dobbiamo ereditare da Leonardo. Uomo libero, autonomo e assolutamente indipendente, egli non solo rifiutava la prigionia delle norme etico-religiose, ma era anche svincolato da tutte quelle relazioni o strutture che regolano la convivenza umana: la patria, la famiglia, gli amici, i conoscenti.
Non si lasciava allettare dalla promessa di onori e denaro, continuava semplicemente ad andare avanti, inseguendo solo ciò che gli stava a cuore. Era capace di sforzi notevoli e prolungati nel tempo, e aveva una capacità di concentrazione straordinaria. Si dice, per esempio, che quando dipinse l’Ultima cena si applicasse al lavoro dall’alba al tramonto, senza bere né mangiare. È senz’altro fuor di dubbio che Leonardo fosse un “genio universale”, un artista dotato di talenti molteplici e di grande versatilità: pittura, scultura, invenzioni di macchine e armi, ingegneria civile, non c’è campo dove il suo ingegno non si fosse applicato.
Quel Leonardo che osservava e studiava il movimento delle acque, la vita delle piante, che analizzava il volo degli uccelli, era lo stesso Leonardo che fissava poi lo sguardo sul volto dei cadaveri di giustiziati, impugnando il bisturi per i suoi studi di anatomia.
La sua natura di uomo libero e cosmopolita si manifestava nella capacità di andare al di là delle regole: in lui si sono realizzate le più alte aspirazioni di vitalità e originalità del Rinascimento italiano. Credo che tutto ciò sia stato reso possibile dalla sua non comune “volontà di dominare se stesso”: «Non si pò avere maggior né minor signoria – scrisse – che quella di se medesimo» (Codice H 119, Bibliothéque de l’Institute de France, Paris).
È noto come il suo grande sogno fosse quello di vedere gli esseri umani volare nel cielo come gli uccelli. Si potrebbe dire, usando una metafora, che pure la sua anima abbia continuato a volare per tutta la vita.
(tratto da DU, 45)
Speciale Ikeda in Europa 1961 – Italia