Cinquant’anni e non sentirli

Pubblicata per la prima volta in italiano nel 1988 (Bompiani), la raccolta dei dialoghi tra lo storico Arnold J. Toynbee e Daisaku Ikeda, avvenuti a Londra tra il 1972 e il 1973, si afferma ancora oggi come lo svolgimento di uno sguardo “a due” potente e lungimirante. Vi si prospettano mutamenti degli assetti mondiali, che proprio ora si vanno compiendo. Si evidenzia, con grandissimo anticipo, la minaccia di un collasso ecologico. Si ragiona sul pericolo di un utilizzo delle armi nucleari in un ennesimo conflitto mondiale, tema che il presente ripropone con feroce drammaticità.
L’incontro tra questi due pensatori avviene nell’indagine attorno all’essere umano. Alle pulsioni più basse e alle intuizioni più alari. Questo modo di procedere ha lo stellare merito di raccordare la condotta dell’essere umano ai disastri che subisce. La catastrofe ecologica non è, forse, ignorare la non dualità di individuo e ambiente, che è uno dei princìpi basilari del Buddismo? L’utilizzo di armi nucleari non è forse il trionfo di un’animalità che si spinge così in là da non comprendere che la sua ansia di prevaricazione si trasforma in autodistruzione? Ma nella persona umana, che crea questi disastri, c’è anche la forza per risolverli. La religione serve a questo: indirizzare l’essere umano verso la vita, distogliere l’essere umano dalla morte.

 

Siamo in possesso dei mezzi per evitare il disastro

Ikeda: Fra le varie cause che minacciano la nostra esistenza, le principali sono due. La prima sta negli armamenti. La fisica, forse la più importante fra le branche della scienza moderna, ha creato le armi nucleari. Ma non è l’unica colpevole: la biochimica ha fatto la sua parte inventando ordigni micidiali.
La seconda causa è l’inquinamento e la distruzione dell’ambiente, fenomeni che, a partire dagli anni settanta, hanno raggiunto proporzioni allarmanti.
[…] Se l’essere umano decide di applicare tutta la saggezza e l’energia di cui dispone alla soluzione di questi problemi, potrà trasformare questa sua civiltà generatrice di inquinamento e risolvere anche le difficoltà politiche senza far ricorso alle armi nucleari. Ma fino a quando l’umanità continuerà a essere dissennatamente schiava dell’egoismo e della cupidigia e rimarrà indifferente, sarà impossibile sfuggire all’ombra minacciosa del totale annientamento.
Toynbee: La cupidigia e l’aggressività, nate dall’egocentrismo, hanno generato tutti questi nostri mali. Per sgominarli, dunque, occorre eliminare l’egocentrismo.
È una vergogna che l’attuale minaccia alla nostra sopravvivenza provenga dallo stesso genere umano.
E sarebbe ancora più vergognoso se non riuscissimo a salvarci da questa situazione, laddove per farlo basterebbe lo sforzo spirituale di uscire dal nostro egocentrismo.
La vergogna di trovarci in questa situazione deve, quindi, stimolarci ad agire: la consapevolezza di essere in possesso dei mezzi per evitare il disastro ci darà speranza, coraggio ed energia. (pp. 59-60)

Creare un’economia che non abbia bisogno della guerra

Ikeda: Abbiamo già assistito a troppe guerre; per evitare la distruzione della nostra civiltà e l’estinzione del genere umano dobbiamo mutare radicalmente l’indirizzo dell’economia, che è diventata la causa principale delle guerre. Esistono altre motivazioni, diverse dalla guerra, capaci di promuovere la crescita e la stabilità economica: per esempio, allargare e migliorare la previdenza sociale e i sistemi scolastici; fornire abitazioni alla popolazione; dare un aiuto concreto ai paesi sottosviluppati. Tutto ciò richiede somme enormi e potrebbe essere uno stimolo sufficiente all’economia di tutte le nazioni.
Toynbee: Fra i molti possibili incentivi all’economia, la guerra è il più costoso e di certo il meno auspicabile. Nell’immediato futuro non mancheranno incentivi non militaristici. Alle soglie di un’ulteriore fase storica, il genere umano dovrà concentrarsi sul compito di garantire la propria sopravvivenza. Dovremo stabilizzare l’economia mondiale, porre un freno all’incremento demografico e ritornare alla religione, ovvero a quello che è sempre stato e sempre sarà il settore morale più importante della vita umana. Ci aspetta un duro lavoro e dovremo far ricorso a tutte le nostre energie. Non avremo bisogno della guerra e, del resto, non saremo neanche in grado di affrontarne altre. (pp. 198-199)

«L’avidità aliena l’io individuale dall’io universale»

Ikeda: Secondo il Buddismo, l’io individuale che dobbiamo tenere sotto controllo e l’io universale sono la stessa cosa. Appena una persona si è illuminata a questa verità, si rende conto che il proprio io non è che una frazione distaccata dell’universo, e di fatto è l’io universale. Questa è l’Illuminazione suprema chiamata stato di Budda o Buddità. […] Il vero compito della religione è fornire alle persone il coraggio e la forza necessari per dominare i desideri e sviluppare la loro “umanità”. La religione deve avere il potere di risvegliare l’essere umano alla realtà della vita che ha in sé e ispirargli il desiderio di fonderla con la vita universale. Convengo con lei che l’individuo deve sforzarsi costantemente di dedicarsi all’universo.
Toynbee: L’io individuale e l’io universale sono in realtà identici. Ritengo che la frase tat tvam asi (dottrina induista secondo cui l’essenza dell’io individuale è identica alla realtà spirituale ultima, l’Assoluto, n.d.r.) esprima la verità. Tuttavia si tratta soltanto di un’asserzione intellettuale. Quindi è vera solo potenzialmente, diviene effettivamente vera quando viene tradotta in azioni morali: un compito che spetta all’io individuale. L’avidità aliena l’io individuale da quello universale. L’avidità è il desiderio di assoggettare l’universo alle proprie mire egoistiche. La compassione è il contrario dell’avidità e praticandola l’io individuale può davvero identificarsi con l’io universale. (p. 333)

[rif.BS220 https://buddismoesocieta.org/article/cinquantanni-e-non-sentirli/]

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