Qui presentiamo un’intervista a Dennis Gira, teologo, esperto di Buddismo francese (è stato vicedirettore dell’Istituto di scienza e teologia delle religioni dell’università Cattolica di Parigi). Ha gentilmente accettato di fare da supervisore generale de Gli scritti di Nichiren Daishonin, per la versione francese del Gosho. L’intervista rilasciata in occasione del novantesimo anniversario della fondazione del movimento Soka è stata pubblicata sul Sekyo Shimbun dell’11 dicembre 2020.

Lei ha riflettuto molto sul ruolo delle religioni nella società e, grazie agli scambi avuti per anni con la Soka Gakkai, ci ha fornito molti punti di vista interessanti e consigli preziosi.
Cosa pensa oggi della pandemia da nuovo Coronavirus che continua a esercitare un’influenza così considerevole sulla vita di ogni fedele? Che impatto ha avuto tale condizione inaudita sulla sua vita di cristiano?

Storicamente, appartenere a una comunità di fedeli ha sempre significato riunirsi in un luogo comune per pregare insieme e darsi aiuto reciproco. Tuttavia, a causa della pandemia da Covid-19, è diventato sempre più difficile incontrarsi in un unico luogo (di solito la chiesa).

Non c’è stata altra scelta per la Chiesa se non quella di vietare ai fedeli, durante il periodo di quarantena, tutte le cerimonie, come la messa domenicale o i funerali aperti al pubblico, nonché gli incontri di studio sulla Bibbia e ogni altro tipo di attività pastorale, per esempio con i giovani. Perdere questo luogo di incontro significa perdere lo spazio di preghiera comune, dove i cristiani possono anche incoraggiarsi a vicenda. Ovviamente la Chiesa sta aiutando le persone ad affrontare questo periodo in vari modi (mantenendosi al servizio degli altri mantenendo un contatto telefonico, via Skype o Zoom, ecc., dedicando più tempo alla preghiera, restando in contatto con la famiglia e con tutti gli amici, ecc…). Questa situazione mi ha fatto capire più a fondo che uno dei ruoli basilari di ogni religione è aiutare le persone che soffrono e chiedersi come, in condizioni diventate davvero peculiari, possano realmente svolgere questo ruolo. Una religione inoltre aiuta gli esseri umani ad affrontare, nella realtà concreta e sul piano spirituale, situazioni che hanno a che fare con la vita e la morte. Il momento che stiamo vivendo è cruciale e obbliga ogni religione a cercare il modo migliore di adempiere al proprio ruolo di guida, consentendo alle persone di sopravvivere a questa crisi così radicale. Non c’è momento migliore di quello che stiamo vivendo per mostrare quanto sia importante che le religioni si incoraggino a vicenda e cooperino le une con le altre per superare le loro differenze e mettersi al servizio di ogni persona!

Ovviamente non smetto di ammirare e ringraziare tutti coloro che si trovano in prima linea al servizio dei malati, e che a volte danno la vita per loro: medici, infermieri, personale paramedico. Ma ringrazio anche i “lavoratori essenziali” (cassieri, magazzinieri, fattorini, camionisti, ecc.) che operano affinché tutti noi possiamo continuare a nutrirci e quindi a vivere!

I cristiani, vedendo all’opera queste persone che si danno da fare per curare i malati, pensano quasi istintivamente a un brano del Vangelo di Luca sul “buon samaritano” 1 , ben noto anche tra i non cristiani. Queste persone, infatti, oggi si mettono al servizio del prossimo – i malati e gli altri – a rischio di ammalarsi, o addirittura di morire. Il loro modo di comportarsi, ammirevole, oltrepassa ogni sorta di barriera, differenza religiosa o status sociale, ed è identico a quello del samaritano della parabola. In effetti, fanno tutto quello che fanno semplicemente perché sono di fronte a esseri umani che soffrono.

Lei è un teologo cattolico, ma allo stesso tempo è esperto di Buddismo. Che valore dà al fatto di studiare due religioni contemporaneamente?

Non sono l’unico. In effetti, negli ultimi anni molti teologi cattolici hanno iniziato a studiare seriamente il Buddismo. È senza dubbio merito del Concilio Vaticano II 2 , che ha promosso il dialogo interreligioso nell’ambito della riforma e della modernizzazione della Chiesa per adeguarsi alle esigenze attuali. Si noti che anche i protestanti fanno la stessa ricerca e partecipano allo stesso dialogo.
Se un credente di una certa religione desidera capire la fede di qualcuno che crede in altro modo e cerca un dialogo, la cosa essenziale è che entrambi siano pronti a spingersi per quanto possibile a fondo, ciascuno da parte sua, alla ricerca del vero significato della propria fede e di quella dell’interlocutore. In tal modo, ognuno ritorna allo spirito originario del fondatore della propria tradizione. Per chiarire meglio: è vero che studio due religioni, ma l’unica Via che seguo è quella di Cristo. Ciò che ovviamente mi aspetto dai miei interlocutori buddisti è che anche loro studino le due religioni e che l’unica Via che seguono sia quella del Buddha.

“La Via di Cristo” e “La Via del Buddha” hanno molto in comune e coloro che percorrono uno dei due sentieri possono condividere una serie di valori e realizzare insieme molte iniziative o scambi senza per questo convertirsi alla religione dell’altro. È chiaro che il buon samaritano, per quanto nemico degli ebrei, mediante le sue azioni seguì la strada indicata da

Gesù molto più dei sacerdoti, che erano essi stessi ebrei, come Gesù. Ogni non cristiano che si comporta come il samaritano, vale a dire va in aiuto dei bisognosi, cammina concretamente su un sentiero vicino a quello che Gesù indica ai suoi discepoli molto più di un cristiano che in situazioni simili non si comporta come il samaritano.

Lo scrittore francese Albert Camus ha dichiarato: «L’onestà consiste nel giudicare una dottrina dai suoi picchi, non dai suoi sottoprodotti». Potrebbe spiegare il significato di questa affermazione?

Se parliamo di Cristianesimo solo in termini di crociate e colonizzazione citiamo solo i sottoprodotti di questa tradizione, che riguardo al Buddismo equivarrebbe a parlare solo di monaci guerrieri o di cose del genere. La storia di queste due tradizioni non merita, in tutta
onestà, di essere ridotta a questi sottoprodotti. Se invece si cercano le vette di una religione, dove si trova il suo significato fondamentale, non si mancherà di scoprire la sua vera dimensione spirituale, quella capace di contribuire alla felicità dell’essere umano.

Continuare a fare di tutto per familiarizzarsi con la fede di credenti di altre religioni attraverso un vero dialogo permette di comunicare profondamente, da cuore a cuore. Conoscere la fede delle altre persone ci aiuta ad approfondire la nostra. In questo senso, per una religione che vuole essere aperta al mondo, lo spirito e la pratica del dialogo sono essenziali. Tale principio si applica non solo alla religione, ma anche a tutti gli aspetti della vita. Incontri e dialoghi con chi proviene da contesti sociali completamente diversi e ha un sistema di valori diverso dal nostro costituiscono opportunità privilegiate che ci permettono da un lato di scoprire punti comuni e dall’altro di diventare più consapevoli della nostra specificità, dei nostri “talenti” unici, mai uguali a quelli degli altri, nonché dei nostri punti di forza. Di conseguenza, attraverso il dialogo possiamo svilupparci e diventare persone migliori.

Lei ha contribuito a presentare alla società francese il Buddismo del Daishonin in modo più approfondito, a partire dal suo contributo cruciale in qualità di supervisore degli Scritti di Nichiren Daishonin, per la versione francese del Gosho…

Il mio studio del Buddismo di Nichiren Daishonin e il lavoro di traduzione del Gosho hanno rafforzato la mia convinzione che ogni sforzo per comprendere la fede degli altri mi aiuta, allo stesso tempo, a crescere nella mia. In questo lavoro volevo sottolineare che l’essenziale per capire il Daishonin non sono le voci che circolano su di lui – ciò che si dice di lui – ma l’ascolto attento di ciò che egli stesso voleva trasmettere, quello che ha detto di sé – e questo si trova nei suoi Scritti (Gosho).

A proposito di questo punto è interessane riflettere sul fatto che esistono persone le quali, basandosi su argomenti molto forti, anche violenti, rifiutano categoricamente Nichiren Daishonin accusandolo di essere “intollerante”. In realtà non si dovrebbe mai dimenticare che il Daishonin visse e insegnò durante l’Ultimo giorno della Legge (Mappō-jidai). Se non teniamo conto del senso profondo che tale condizione gli ha trasmesso sull’urgenza del momento, non potremo comprendere la passione che lo animava nel voler condurre tutti gli esseri all’Illuminazione. Riflettendo a fondo riguardo questo scenario ho cominciato a capire che a volte, utilizzando il metodo di shakubuku, Nichiren Daishonin stava esercitando la più grande compassione concepibile per un buddista, ossia aiutare le persone a raggiungere l’Illuminazione nelle terribili circostanze di Mappo, epoca in cui ciò sarebbe dovuto essere impossibile.

Quando il Daishonin si rese conto delle implicazioni che vivere nel periodo dell’Ultimo giorno della Legge aveva per l’essere umano si mise alla ricerca del “re dei sutra”, intraprendendo un lungo viaggio fino a Kyoto, Nara e in altri luoghi di studio. La sua ricerca lo condusse al Sutra del Loto. Questo Sutra fornisce due verità fondamentali: 1) la natura intrinseca di tutti gli esseri viventi è la “natura di Buddha”; 2) il Buddha è eterno e ci guida dal lontano passato senza inizio. Ma molti dei suoi seguaci, vissuti anch’essi nell’epoca di Mappo, hanno completamente dimenticato la loro identità, quella di figli ed eredi del Buddha. Questo è il motivo per cui la parabola dell’uomo ricco nel Sutra del Loto è tanto significativa.

La rivista Le Monde des religions (Il mondo delle religioni) mi ha chiesto di scrivere un articolo per aiutare i lettori a capire l’importanza della mostra sul Sutra del Loto che si sarebbe svolta nei locali dell’Unesco a Parigi (nell’aprile 2016). Dopo aver lungamente riflettuto ho deciso, al fine di dare ai potenziali visitatori della mostra alcune chiavi per cogliere la natura e l’importanza dell’insegnamento del Sutra del Loto, di sottolineare tre affinità che esistono tra questo testo e la Bibbia. La prima è il modo in cui questo Sutra, come la Bibbia, rivela cose inaudite fino ad allora nascoste. Nel sedicesimo capitolo del Sutra, per esempio, vengono svelate “La durata della vita del Tathagata”, la verità riguardante il risveglio originale del Buddha, e quindi la verità riguardo alla sua vita eterna in qualità di Tathagata (Così Venuto). La Bibbia, da parte sua, rivela verità altrettanto inaudite, riguardanti le origini del mondo, la condizione dell’essere umano e, in Gesù Cristo, il modo di essere di Dio tra gli umani.

La seconda affinità è la portata universale del Sutra e della Bibbia. Ciò si riflette nell’aspettativa di un’Illuminazione (nel Sutra) e di una Salvezza (nella Bibbia) che non esclude nessuno. L’affermazione sostenuta nel Sutra del Loto si basa sulla convinzione che tutti gli esseri viventi posseggono la “natura di Buddha”; nella Bibbia si basa sulla certezza della fedeltà di Dio alla sua creazione, sulla sua volontà che tutti gli esseri umani siano salvati e che ogni cosa si compia in Cristo risorto. La terza affinità è l’ampio uso di parabole da parte del Buddha nel Sutra del Loto (e altrove), e di Gesù Cristo nei Vangeli. La parabola dell’uomo ricco nel Sutra del Loto (menzionata sopra) e quella del figliol prodigo nel Vangelo secondo san Luca (Lc 15, 11-32) parlano rispettivamente, ed eloquentemente, della compassione del Buddha e della misericordia di Dio. Esse sono straordinarie perché riflettono la coerenza interna del Buddismo e del Cristianesimo, mostrando sia le loro convergenze sia le loro divergenze. E ciò crea grande spazio per il dialogo. Tenendo presenti tali affinità è essenziale rispettare le differenze fondamentali di questi due testi, e delle tradizioni che li sostengono, e mettere queste differenze al servizio di una comprensione più giusta di ciascuno di essi, del mistero ineffabile della vita. In questo modo possiamo navigare negli spazi di dialogo che ci vengono offerti senza paura e con la certezza di uscirne arricchiti spiritualmente.

Grazie all’azione di ereditare e trasmettere, attraverso le generazioni, lo spirito aperto espresso dal dialogo interreligioso le religioni possono manifestare il loro vero valore.

Esatto, sono d’accordo con lei. In ogni religione universale aperta al mondo ci sono sempre giovani delle nuove generazioni che, fedelmente e con forza, accolgono questa eredità e vivono di questa spiritualità e della tradizione nel senso più fondamentale.

Ho visto in diretta la Riunione mondiale dei giovani che la Soka Gakkai ha tenuto il 27 settembre 2020 (in Francia erano le 5:30 del mattino!). Siete riusciti a comunicare e a condividere la sensazione di “stare insieme” trascendendo la distanza fisica. Mi ha commosso.

Ho constatato con grande speranza e ho sentito profondamente che sono questi giovani, insieme ad altri giovani di tante religioni diverse, che incarnano il futuro dell’umanità. Hanno espresso – di paese in paese, attraverso Internet – la loro determinazione ad accendere la torcia per il mondo affermando che il buddismo di Nichiren Daishonin non è altro che il Buddismo di un sole capace di “scacciare l’oscurità da ogni essere”. Ora questa immagine di luce è assolutamente fondamentale anche per i cristiani.

Quando ero giovane come loro fui colpito da un movimento giovanile cristiano il cui motto era: «Meglio accendere una candela che lamentarsi del buio». Quindi, anche quando non si è nella posizione di fare cose di impatto immediato sul mondo, bisogna iniziare facendo una piccola cosa. Guardando questa gioventù mondiale della Soka Gakkai, il ricordo di questo motto mi si è ripresentato con forza.

Anche se la fiamma di una candela è minuscola, quando nel mondo tanti giovani, tutti insieme, iniziano ad accenderne una ciascuno, il risultato finale sarà ovviamente una luce fortissima!

I giovani del movimento Soka lo hanno ripetuto spesso: «Io ho un sogno». Ricordo molto bene come il pastore Martin Luther King avesse ripetuto spesso, durante le vicissitudini della sua vita, l’affermazione: «Io ho un sogno».

Avere un sogno è il privilegio della giovinezza. Significa che si è pronti a impegnarsi con entusiasmo per raccogliere la sfida di cambiare il mondo, sognandolo migliore, e che si vuole dare il proprio contributo per un futuro di giustizia, solidarietà e pace.

Note
1) Si tratta della parabola del buon samaritano (Vangelo secondo Luca) che Gesù racconta a un dottore in legge. È la storia di un uomo che, caduto nelle mani di banditi, viene spogliato, picchiato e lasciato mezzo morto per strada. Casualmente un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre e andò dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Ma un samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò in una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo:

«Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno». Gesù chiede quindi a questo dottore quale dei tre, secondo lui, fosse il prossimo dell’uomo caduto nelle mani dei banditi. Il dottore in giurisprudenza gli risponde: «Chi ha avuto compassione di lui» Gesù gli dice: «Vai, e fai lo stesso anche tu» (Luca 10, 25-37).

2) Il Concilio Vaticano II, svoltosi tra il 1962 e il 1965, aveva come scopo l’ammodernamento della Chiesa. Esso invita i cattolici a essere aperti alla società moderna e alle altre religioni, sottolineando l’importanza fondamentale del dialogo con le altre tradizioni religiose del mondo.

3) Questa parabola è esposta nel quarto capitolo del Sutra del Loto. Il ricco ritrova il figlio scomparso che era fuggito in gioventù e che aveva completamente dimenticato anche il volto di suo padre.
Quest’ultimo però lo invita a lavorare nel suo palazzo, dandogli prima l’umile incarico di prendersi cura della spazzatura, affidandogli poi gradualmente lavori più importanti fino a proporgli la gestione del suo patrimonio. Infine egli annuncia, per la prima volta, davanti a tutti e davanti a lui, che quest’uomo è proprio suo figlio scomparso nel passato e che a lui vuole lasciare tutti i suoi beni.
Quest’uomo ricco rappresenta Shakyamuni e il figlio povero gli arhat che credevano di non poter mai raggiungere la Buddità.

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