La Giornata internazionale dei diritti della donna ricorre l’8 marzo di ogni anno per ricordarci le conquiste sociali, economiche e politiche, ma anche le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono tuttora vittime in ogni parte del mondo.

 

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La Giornata internazionale dei diritti della donna ricorre l’8 marzo di ogni anno per ricordarci le conquiste sociali, economiche e politiche, ma anche le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono tuttora vittime in ogni parte del mondo.
Quello dei femminicidi e della violenza sulle donne è un problema molto antico che solo in tempi recenti ha iniziato a ricevere attenzione da parte dei mezzi di comunicazione e delle Istituzioni internazionali.1.

In questo periodo storico segnato dalla pandemia, il problema ha assunto una dimensione ancora più drammatica perché le persone sono spesso costrette a rimanere a casa e nella convivenza forzata i casi di violenza domestica sono molto aumentati. Inoltre, com’è noto, uno degli aspetti centrali della spirale della violenza è proprio l’isolamento.

A questo proposito, nella Proposta di pace 2021 presentata all’Onu il 26 gennaio scorso, il presidente Ikeda scrive: «Ora che le persone sono sempre più costrette a rimanere a casa, risulta che sia aumentato il numero di donne vittime di violenza domestica. E molte di loro non possono nemmeno chiedere aiuto o ricevere assistenza dai servizi sociali a causa della presenza costante in casa del loro molestatore (il coniuge o il partner).
Più le misure per contenere il contagio si diffondono e noi ci abituiamo alla realtà della pandemia, più è essenziale mantenere l’impegno di proteggere tutte quelle persone che nessuno vede e il cui dramma rischia di venire ignorato.
Bisogna dare la priorità alle iniziative per alleviare il dolore, la claustrofobia e il senso di pericolo che avvertono, e farne il requisito fondamentale per la ricostruzione del tessuto sociale» (traduzione provvisoria, di prossima pubblicazione in Buddismo e società).

Come scrive ancora il presidente Ikeda riferendosi alle sistematiche discriminazioni di genere e alla mancanza di opportunità per i giovani, «se permettiamo che queste disuguaglianze e distorsioni globali rimangano immutate, sarà inevitabile che sempre più persone vengano lasciate indietro e sarà sempre più difficile immaginare il mondo post-COVID che vorremmo vedere» (Ibidem).

In considerazione del peggioramento a causa della pandemia della condizione delle donne che subiscono violenza, nel 2020 l’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai ha devoluto una parte dei fondi 8×1000 per sostenere il progetto Reama della Fondazione Pangea, che lavora su questo tema dal 2008.

Ne abbiamo parlato, nell’intervista a pag. 8, con Simona Lanzoni, Manuela Campitelli e Francesca Filippi di Fondazione Pangea.

 

Porre fine alla violenza sulle donne

D. Ikeda, Amore e amicizia, Esperia, 66

«Dobbiamo anche porre fine alla violenza sessuale contro le donne, che causa dolore e sofferenze indicibili a chi la subisce. Nulla è più spregevole della violenza contro le donne. È una cosa assolutamente imperdonabile. Voglio che tutti gli uomini lo ricordino. Purtroppo, nella società di oggi c’è una generale tendenza a incoraggiare la promiscuità sessuale e la violenza. […] Posso solo immaginare l’incredibile angoscia fisica e mentale che devono provare le donne che sono vittime di violenze sessuali. A chi ha attraversato questa dolorosissima esperienza voglio dire: benché abbiate perso la fiducia negli altri, o vi sentiate annientate, ricordatevi per favore che nessuno può distruggere ciò che siete. Per quanto crudelmente siate state ferite, voi restate immacolate come la neve appena caduta. Il Buddismo insegna che il fiore di loto cresce nelle acque melmose. Ciò significa che le nostre vite assolutamente nobili continuano a brillare anche in mezzo alle più sgradevoli realtà della vita, proprio come il puro bianco fiore di loto che sboccia in mezzo al fango senza esserne sporcato. Proprio a causa di ciò che avete subito, ci sono dolori e sofferenze nei cuori degli altri che solo voi potete notare, e puri sentimenti di amore e di amicizia che solo voi potete scoprire. Sicuramente ci sono tante persone che hanno bisogno di voi. […] Vi chiedo di avere coraggio, di dire a voi stesse che non permetterete che questa terribile prova vi sconfigga. Chi ha sofferto di più, chi ha sperimentato la tristezza più grande, ha il diritto di diventare la persona più felice».

 

Pubblichiamo un’intervista a Simona Lanzoni, responsabile di progetto di Fondazione Pangea, Manuela Campitelli e Francesca Filippi, rispettivamente responsabile della comunicazione e coordinatrice degli sportelli antiviolenza del progetto “Reama” di Fondazione Pangea, finanziato con i fondi 8×1000 dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, nel 2020

In cosa consiste il progetto Reama?
Il progetto ha due obiettivi: aiutare le donne a uscire dalla violenza e creare una rete qualificata per poterne uscire e anche per prevenirla.
Come Fondazione Pangea lavoriamo su questo tema dal 2008, e con il tempo si è creata l’esigenza di una rete che potesse garantire un sostegno più strutturato e che mettesse insieme tutte quelle realtà che non erano ancora collegate tra loro.
Reama è stata la risposta: una rete di qualità per fare un percorso insieme, includente, che coinvolge centri antiviolenza, sportelli e case rifugio ma anche associazioni miste di donne e di uomini che lavorano per prevenire la violenza, familiari di donne che non ci sono più e realtà che lavorano per il contrasto agli stereotipi di genere.

Come è cambiata la situazione con il Covid?
A marzo 2020, durante il lockdown, ci siamo rese conto che c’era un problema enorme. Nei primi quindici giorni la richiesta di supporto per affrontare la violenza è calata drasticamente e questo ci ha allarmato. Il Covid ha creato un meccanismo mostruoso. Una delle fasi centrali della spirale della violenza è l’isolamento.
Cosa vuol dire concretamente? Essere isolata totalmente dalla famiglia di origine, dalle amicizie, dai colleghi, dal contesto sociale quotidiano.
Il maltrattante toglie, elimina le ancore di salvezza umana. Il fatto che fossimo tutti chiusi in casa ha creato un’ulteriore emergenza: anche se la violenza è un fenomeno strutturale, durante il lockdown è diventata una “pandemia ombra”. In questi primi mesi del 2021 c’è stato un aumento di richieste, più che raddoppiate rispetto allo scorso anno. Il fatto che ci siano così tanti casi di violenza sulle donne è veramente impressionante. Sono tutti casi molto duri. Purtroppo c’è un peggioramento della situazione.

Cosa è possibile realizzare con i fondi 8×1000 destinati al progetto Reama?
Grazie ai fondi 8×1000 della Soka Gakkai abbiamo potuto aumentare i nostri servizi e rafforzare la nostra rete presente sul territorio nazionale di case rifugio e centri antiviolenza.
Abbiamo ad esempio potuto aprire una casa rifugio a Roma a indirizzo segreto che può ospitare fino a due nuclei familiari e attualmente è occupata. Decidere di investire in nuovi alloggi per donne a rischio e per i loro bambini è lungimirante e necessario. Tanto più perché siamo in un momento di pandemia…
Avere questa casa rifugio è una vera e propria svolta. Se guardiamo i dati statistici nazionali, vi sono diversi centri antiviolenza, ma ciò che scarseggia terribilmente sono le case rifugio. Per una vittima di violenza gli spazi sicuri contano in maniera fondamentale.
Arrivare in un luogo e capire che c’è chi si occupa e si preoccupa di te, parlando un linguaggio che fino a quel momento non hai mai sentito è un aspetto importantissimo nel contrasto alla violenza.
Attraverso il contributo della Soka Gakkai, Pangea permette inoltre la strutturazione di un processo di accoglienza fatto di competenze specifiche e della possibilità di costruire risposte ad hoc su ogni singolo caso: da una parte servizi di sostegno e intervento – in particolare tramite gli sportelli nazionali online Antiviolenza e Mia Economia – dall’altra azioni di comunicazione, formazione, advocacy.
Adesso inoltre abbiamo aperto anche uno sportello in presenza a Roma per le donne che chiamano e vivono nel Lazio.

Come funziona lo sportello Antiviolenza online? E lo sportello Miaeconomia?
Lo Sportello Antiviolenza Online è un servizio che si occupa di consulenza e sostegno a favore di donne vittime di violenza. È il servizio di primo contatto con le donne che chiamano da tutta Italia, a cui rispondono operatrici qualificate, con specifica formazione sulla metodologia dell’accoglienza.
Le tipologie di violenza sono molteplici e allo sportello antiviolenza arrivano storie di tutti i tipi.
Fondazione Pangea ha inoltre riflettuto sull’importanza di un aspetto preciso della violenza: quella economica. Quando l’operatrice rileva delle problematiche che hanno a che fare anche con l’aspetto economico, la donna viene presa in carico da uno sportello specifico, “Mia Economia”.
La parte economica ha dei risvolti contingenti non solo nel momento del pericolo ma anche dopo, nella separazione e nella tutela dei minori. Necessita di un’attenzione importante e competente. La consulenza legale è svolta da professioniste qualificate e di consolidata esperienza, che collaborano con Pangea e sono regolarmente iscritte agli albi professionali.

Quali sono le problematiche più frequenti?
Nello sportello antiviolenza la donna chiama e dice che ha bisogno di aiuto. Da lì si apre un mondo.
Entrare in contatto con una richiesta di aiuto è molto complesso. Quando le donne arrivano ad alzare il telefono o scrivere una mail la situazione è a un passo dal femminicidio.
Stiamo facendo uno sforzo immenso per costruire una risposta velocissima. Bisogna agire con rapidità, fare una valutazione di rischio in poco tempo per prenderla in carico e/o fornire i contatti del centro della rete Reama più vicino a cui la donna può rivolgersi nelle varie zone d’Italia.
È un lavoro che coinvolge emotivamente, difficile dal punto di vista organizzativo, che se non affrontassimo unite sarebbe molto duro.
Noi ci confrontiamo e ci sosteniamo, la rete è davvero fondamentale.
A volte è necessario agire con grande rapidità, come quando, ad esempio, ci ha chiamato una donna molto giovane in gravidanza che poteva parlare solo per pochi minuti e abbiamo dovuto stilare una relazione molto velocemente…
Adesso siamo in attesa di ricevere da lei una nuova chiamata o una mail. È la parte più dura del lavoro, mentre la parte positiva è quando otteniamo risultati importanti, ovvero salvare la donna e i suoi bambini.
Dopo un primo contatto tramite gli sportelli, la donna viene seguita direttamente dalle operatrici o tramite le realtà locali e avvocate della rete, così inizia un percorso di uscita dalla violenza e di ricostruzione della loro vita e quella dei bambini, quando ci sono.
Ad esempio, una donna tempo fa ci ha chiamate e ci siamo rese conto che viveva una situazione molto pericolosa. Dopo la valutazione del rischio abbiamo deciso insieme a lei di procedere all’allontanamento dal domicilio.
Di solito si cerca di allontanare il maltrattante dalla casa di famiglia, ma quando ciò non è possibile la donna deve essere messa in sicurezza grazie ai centri antiviolenza e alle case rifugio. Questa donna aveva anche tre figli.
Con lei abbiamo fatto un percorso con il Tribunale dei minori, ottenendo un bel risultato di riconoscimento della patria potestà alla madre. Abbiamo lavorato anche per reinserire i figli a scuola, dato che avevano cambiato zona di residenza.
E poi attraverso i servizi territoriali, la donna e i suoi figli hanno potuto accedere a consultori, visite ginecologiche, dentisti, centri vaccinali, avviando così un percorso che, per quanto difficile e lungo, possa portarli a un progetto di vita nuova.

Un altro aspetto importante del progetto Pangea riguarda la comunicazione…
Uno degli scopi della rete è anche pubblicizzare e potenziare il lavoro che le diverse realtà aderenti a Reama svolgono nei loro territori, fare da cassa di risonanza e fornire formazione qualificata.
Il gruppo giuridico delle avvocate, i centri antiviolenza, le associazioni… tutti possono stimolare e richiedere confronti rispetto alle situazioni che si trovano ad affrontare.
Vogliamo potenziare anche tutte le campagne di sensibilizzazione rispetto a una narrazione corretta della violenza ed evitare di cadere negli stereotipi che giustificano e legittimano la violenza sulle donne.
Collegare l’importanza delle parole con gli effetti che producono.
Ci impegniamo a coprire le notizie di attualità con i comunicati stampa, siamo presenti con campagne di sensibilizzazione, con video e infografiche sulle varie declinazioni del sessismo, continuando a dare importanza alla prevenzione della violenza e a sensibilizzare l’opinione pubblica su questo fenomeno che in Italia colpisce una donna su tre.
Anche nella narrazione di episodi di violenza e femminicidio siamo più volte intervenute per fare da cassa di risonanza.
Abbiamo sollecitato l’ordine dei giornalisti a porre più attenzione al modo in cui vengono scritte le notizie. Abbiamo ribadito che non basta parlarne, ma bisogna narrare le notizie in un certo modo. Abbiamo proposto sanzioni amministrative per chi trasgredisce e che i fondi ricavati vengano destinati ai centri antiviolenza. Anche questa azione è nata da esigenze poste dalle realtà che fanno parte della rete Reama: ciò ci conferma sempre di più quanto anche nell’ambito del contrasto alla violenza sia importante lavorare in modo unito e sinergico.

 

Giornata internazionale dei diritti delle donne

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