Intervista a Muhammad Yunus

DI RORY CAPPELLI

Yunus

Muhammad Yunus è nato e cresciuto a Chittagong, principale porto mercantile del Bengala, nell’India nord-orientale. Laureato in economia, ha insegnato nell’Università di Boulder, in Colorado, e alla Vanderbilt University di Nashville, Tennessee.

Ha poi diretto il dipartimento di economia dell’Università di Chittagong. Nel 1977 ha fondato la Grameen Bank, un istituto di credito indipendente che pratica il microcredito senza garanzie. Oggi Grameen, oltre a essere presente in 36 mila villaggi del Bangladesh e ad avere oltre due milioni di clienti, è diffusa in cinquantasette paesi di ogni parte del mondo. La filosofia della Grameen è quella di disimparare dalla teoria e prendere lezioni dalla realtà, come spiega bene lo stesso Yunus nell’intervista che segue.

La banca funziona in modo semplice: viene fatto un prestito con scadenza di un anno e tratte settimanali di identico importo. L’inizio dei pagamenti deve avvenire a una settimana dalla concessione del prestito. Dopo il terzo prestito che sia stato regolarmente restituito, il cliente può avere accesso a un piccolo mutuo per costruirsi una casa. La caratteristica distintiva della Grameen è anche un’altra: quella di essere rivolta principalmente alle donne, soggetto/oggetto di fortissime discriminazioni nel mondo e in India – dove non possono chiedere niente a titolo personale e devono sempre avere l’autorizzazione o del marito o del padre o del fratello.

«La mia esperienza in seno a Grameen – scrive Yunus nella prefazione al suo libro Il banchiere dei poveri (Feltrinelli) – mi ha infuso una fede incrollabile nella creatività umana, che mi ha portato a pensare che l’essere umano non sia nato per patire le miserie della fame e dell’indigenza; se oggi soffre, e ha sofferto in passato, è perché noi distogliamo gli occhi dal problema. Ho maturato la certezza – continua – che, se davvero lo vogliamo, possiamo realizzare un mondo senza povertà».

E conclude: «Spetta soltanto a noi decidere dove andare. Siamo noi i piloti della nave spaziale chiamata Terra. Se prendiamo sul serio i nostri compiti non potremo che arrivare là dove abbiamo pensato». Due grandi occhi scuri, i capelli folti e bianchi, il sorriso di chi ha sempre fatto del suo meglio perché il mondo sia un posto migliore in cui vivere: ecco Muhammad Yunus, il fondatore della Grameen Bank. Poteva passare i suoi giorni a limare la prosa di brillanti teorie economiche, ignorando la gente che moriva di inedia a poche centinaia di metri dall’università in cui insegnava, in quella stessa regione dell’India bellissima e tragica che è il Bangladesh. Ma non l’ha fatto. È stata sua madre, lo racconta lui stesso, la persona che lo ha stimolato nella ricerca di soluzioni per gli emarginati, i diversi, i sofferenti.

«È stato grazie al suo amore per i poveri e i diseredati che ho trovato la mia via» scrive nel libro Il banchiere dei poveri (Feltrinelli), nel quale narra la storia della sua impresa – la Grameen Bank – e della sua vita. Ancora oggi Yunus continua a occuparsi degli altri e nonostante i tantissimi impegni riesce a trovare il tempo per parlare del suo lavoro, per raccontare la sua esperienza, per rispondere personalmente alle domande: forse, pensa, tante piccole “consapevolezze”, tante persone risvegliate alla propria importanza grazie alla forza della parola, del dialogo, daranno alla fine un grande risultato.

Ci può raccontare come è diventato il fondatore della Grameen Bank?

Nel 1971 iniziai a insegnare economia all’Università di Chittagong. Nonostante trovassi le teorie economiche eleganti e belle, mi disillusi ben presto circa la loro utilità. Nel 1974 una terribile carestia si abbatté sul Bangladesh: ne rimasi profondamente scosso. Vidi gente morire di inedia proprio di fronte all’ingresso dell’università. Le cose andavano di male in peggio e i poveri diventavano se possibile ancora più poveri. Non esistevano teorie economiche che fossero in grado di riflettere il mondo reale, ciò che vedevo intorno a me. Perciò rigettai quelle stesse teorie che avevano nutrito la mia vita. Volevo imparare e conoscere non più teorie o sistemi ma il mondo reale e le vite di persone reali. Ebbi l’opportunità di farlo nel villaggio di Jobra, che si trovava proprio vicino all’università. Sapevo di non poter cambiare niente, ma pensavo che sarebbe valsa la pena riuscire a essere utile a un altro essere umano anche solo per un giorno o per qualche ora. Fu durante queste visite al villaggio di Jobra che incontrai quelle donne poverissime destinate poi a diventare le prime clienti della Grameen Bank. Quando iniziai questa mia impresa non avevo alcuna intenzione di fondare una banca.

Nel 1976 feci un prestito di quarantadue dollari a un gruppo di donne di un villaggio che si trovava vicino all’università in cui insegnavo. Si trattava di grandi lavoratrici che rimanevano povere non perché non avessero qualità o abilità ma perché, per finanziare le piccole attività che producevano il loro reddito, dipendevano dai prestiti di quelli che definisco veri e propri squali. Esse rimanevano intrappolate nella povertà senza averne alcuna responsabilità. Queste ventisette donne erano emozionate quando prestai loro il denaro. Non solo usarono i soldi avuti in prestito, ma restituirono fino all’ultima lira. Dopo questo episodio mi resi conto in maniera molto chiara che sarebbe dovuta esistere una possibilità istituzionale per queste donne: mi avvicinai così alle banche.

Le banche rifiutarono l’idea dicendo che non valeva la pena fare credito ai poveri perché non offrivano loro alcuna seria garanzia. Noi raccontammo l’esperienza che avevamo fatto con le donne dei villaggi ma loro non si convinsero. Questa è la ragione per cui decidemmo di fondare una banca diretta esclusivamente ai poveri.

Quali sono le opinioni comuni sui poveri?

Si pensa che i poveri restino tali perché sono pigri o stupidi. Si pensa che non abbiano capacità. In realtà è proprio l’opposto. I poveri lavorano tutto il giorno, compiendo notevoli sforzi fisici. Sono poveri semplicemente perché non esistono le strutture finanziarie che potrebbero aiutarli ad allargare la loro base economica. Hanno capacità, ma non le opportunità per dimostrarlo. I poveri hanno, come tutti gli esseri umani, un potenziale illimitato. Quella che viene loro negata è l’occasione di esplorare tale potenziale. È una questione strutturale, non un problema personale. C’è anche la leggenda che i poveri non sono “bancabili”.

Le banche non faranno prestiti ai poveri finché essi non avranno qualcosa di collaterale da offrire; i poveri non sono considerati degni-di-credito. La nostra esperienza ha dimostrato invece che i poveri, specialmente le donne, restituiscono sempre il denaro se l’istituzione può fornirglielo in un modo adatto per loro. In Bangladesh i poveri hanno dimostrato di essere più degni-di-credito dei ricchi.

Perché nel suo libro afferma che bisognerebbe pensare ai più poveri dei poveri?

Credo che ogni efficace programma di riduzione della povertà dovrebbe essere diretto ai più poveri dei poveri. Se un programma mescola i molto poveri con i meno poveri, questi ultimi diventeranno dominanti e finiranno con il tagliare fuori i poverissimi. I meno poveri riusciranno sempre ad accaparrarsi i benefici del programma.

Quali sono le aberrazioni della Banca mondiale? Nel suo libro spiega che questo ente elargisce donazioni e aiuti, ma in realtà contribuisce all’aumento della povertà e non alla sua diminuzione

Istituzioni multilaterali come la Banca mondiale hanno moltissimo denaro da spendere. Più soldi possono dare meglio è. Grandi progetti finanziati da agenzie di aiuto creano enormi macchine burocratiche che diventano corrotte e inefficienti e ben presto finiscono con l’incorrere in enormi perdite. Gran parte degli aiuti viene utilizzata nei paesi donatori per pagare consulenti, equipaggiamenti, materiali, consiglieri ed esperti. In molti casi i consulenti che propongono questi progetti hanno un’idea molto vaga circa le condizioni del luogo di destinazione e la compatibilità del progetto con l’ambiente. Molto di quello che raggiunge i paesi in via di sviluppo finisce nelle mani delle élite locali, dei fornitori di materiali, consulenti, esperti, intermediari.

Se un aiuto straniero riesce a raggiungere il paese in via di sviluppo, allora buona parte di questo aiuto finisce nella costruzione di strade, ponti e così via: tutte cose che si suppone possano in avvenire aiutare i poveri. Tuttavia niente arriva fino ai poveri, niente li raggiunge. I poveri non sono in grado di trarre vantaggi da questi progetti.

Molti progetti di aiuto assistiti come la costruzione di dighe – che costringono grandi masse di gente povera ad andarsene dai loro luoghi di origine – peggiorano notevolmente la situazione. Gli aiuti stranieri potranno avere un qualche impatto positivo nella vita dei poveri quando riusciranno a raggiungerli. Ho sempre pensato e dichiarato che “sviluppo” deve significare l’apporto di cambiamenti positivi nello status economico di almeno il 50% della parte più povera della popolazione.

Può descrivere la situazione delle donne e degli uomini aiutati dalla Grameen Bank?

La Grameen Bank aiuta le persone più povere dell’area rurale del Bangladesh. Si tratta di contadini senza terra, quelli che definiamo come proprietari di meno di 0,5 acri di terra coltivabile e il cui credito non supera l’acro di terra di media qualità. Queste persone lavorano duramente ma restano povere perché non hanno accesso ad alcun benché minimo capitale da investire in attività economiche produttive.

Può parlarci della Fattoria dei tre terzi?

L’esperimento della Fattoria dei tre terzi fa parte del Progetto per lo sviluppo rurale dell’Università di Chittagong che abbiamo realizzato nel 1974-76, prima della Grameen Bank. Svolgemmo l’esperimento nella zona di Jobra per verificare se era possibile far crescere un nuovo raccolto di riso durante la stagione secca, quando i terreni agricoli giacevano inutilizzati perché i contadini non potevano ottenere l’acqua necessaria a irrigarli e il resto dell’occorrente. L’idea fu la seguente: durante la stagione secca il proprietario della terra avrebbe messo a disposizione il suo terreno, i mezzadri avrebbero contribuito con il loro lavoro e io avrei provveduto a tutto il resto, tra cui l’acquisto del carburante per far funzionare le pompe di profondità, la fornitura di semi per raccolti altamente produttivi e del fertilizzante, e l’informazione tecnica necessaria. In cambio ciascuna delle tre parti avrebbe ricevuto un terzo del raccolto.

L’esperimento ebbe un grande successo. I contadini erano felici perché non avevano dovuto spendere una lira e avevano ottenuto un buon rendimento, e noi avevamo fatto crescere un raccolto su un terreno dove nulla sarebbe mai cresciuto durante la stagione secca.

Perché ritiene le donne più affidabili degli uomini?

La nostra esperienza ci ha mostrato che le donne sono un migliore “rischio di credito” degli uomini. Le donne usano il denaro che ricevono con più attenzione e lo restituiscono con maggiore affidabilità. Cominciammo a fare credito più alle donne che agli uomini quando notammo che prestare denaro alle donne portava maggiori opportunità alla famiglia rispetto a quanto succedeva se si facevano prestiti agli uomini.

Le donne sperimentano la fame e la povertà in modo molto più intenso rispetto agli uomini e raramente hanno accesso alle risorse. Per questa ragione quando le donne povere ottengono prestiti sono più lungimiranti degli uomini, e sono più disposte a lavorare duramente per uscire dalla povertà. La nostra esperienza ci ha mostrato che il denaro guadagnato dalle donne porta sempre beneficio a tutta la famiglia. Una donna, in genere, usa i soldi per comprare oggetti per la casa o per costruire un tetto più robusto, migliorando così le condizioni di vita di tutti i familiari. Invece quando gli uomini hanno entrate extra tendono a usarle soprattutto per se stessi.

Quale sarà il ruolo delle donne nel creare un mondo dominato da altre logiche?

Le donne, come ho detto prima, hanno una visione più a lungo termine, perché pensano attraverso i loro bambini. Esse hanno un “interesse acquisito” per un futuro sicuro e un mondo pacifico. Un mondo dove siano assicurate alle donne eguale autorità e partecipazione sarà un mondo più sicuro e pacifico. Se vogliamo creare un mondo impegnato a migliorare la qualità della vita, a rimuovere la povertà, a creare le condizioni di un’occupazione dignitosa per tutti, a ridurre la disuguaglianza, è logico partire dalle donne. La povertà cancella qualsiasi diritto umano. «La povertà mortifica l’essere umano nella sua più profonda essenza…».

Può spiegarci tali affermazioni?

La Dichiarazione universale dei diritti umani afferma che ogni essere umano ha diritto a uno standard di vita adeguato alla salute e al benessere propri e della sua famiglia, che comprende il cibo, il vestiario, la casa, le cure mediche, i necessari servizi sociali; e che ha diritto a garanzie in caso di disoccupazione, invalidità, vedovanza, anzianità o mancanza di mezzi di sussistenza in circostanze al di là del suo controllo. La Dichiarazione richiede che tutti gli stati sottoscrittori assicurino “il riconoscimento e l’osservanza” di tali diritti. Ma la povertà crea una condizione sociale che nega non solo alcuni, ma tutti questi diritti. Un povero in Bangladesh non ha alcun diritto, indipendentemente dal fatto che il suo paese sia un firmatario della Dichiarazione universale dei diritti umani.

Cosa significa cercare soluzioni locali?

Io credo che i poveri abbiano un potenziale illimitato. Non è né efficace né giusto che “esperti” o “consulenti” dicano loro cosa devono fare. Il nostro lavoro dovrebbe essere quello di creare le condizioni affinché i poveri siano in grado di esplorare e manifestare pienamente il loro potenziale. L’accesso al micro-credito è una di queste condizioni.

La Grameen Bank si sta diffondendo a livello globale: c’è differenza tra le metodologie adottate in Bangladesh e quelle che state utilizzando ad esempio nelle isole Lofoten, in Equador o in Nepal?

I cosiddetti “progetti di replicazione Grameen” sono presenti in più di ottanta paesi del mondo e operano in condizioni culturali e socioeconomiche molto diverse. Quando parliamo di “repliche” intendiamo la riproduzione in altri contesti delle caratteristiche essenziali dell’approccio Grameen Bank. Tutte le repliche, dalle Lofoten in Norvegia al Nepal, seguono queste caratteristiche, che includono la fornitura di piccoli liberi prestiti collaterali al più povero dei poveri, un meccanismo di gruppo per i prestiti, prestare danaro alle donne, e così via.

Secondo lei, cosa si può fare a livello individuale per cambiare lo stato del mondo e combattere la povertà?

Io credo che una persona possa fare tutta la differenza. Si può pensare che le azioni di un singolo individuo siano insignificanti, ma tutte le grandi idee e i grandi movimenti cominciano da una persona e dal suo impegno nel portare avanti le sue idee e le sue azioni, che altre persone poi potranno condividere e perseguire.

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