In fondo, però, tutti gli aspetti che riguardano i diritti umani – compresi quelli che non hanno trovato un posto nelle discussioni ufficiali – trovano la loro radice in qualche aspetto della dignità umana. In altre parole, ogni singola persona merita di essere trattata nel modo migliore perché possiede dignità: una sorta di valore intrinseco che la caratterizza per il semplice fatto di essere umana.
In alcune culture la dignità proviene da Dio, alla cui immagine l’umanità è stata creata. In altre tradizioni motivo di dignità è la capacità stessa di pensare e ragionare. Ma sempre più il concetto di dignità umana come base per vantare diritti e prerogative sul resto della natura viene soppiantato dall’idea di precise responsabilità degli esseri umani nel gestire in modo consapevole la natura e nel trattare con rispetto ogni forma di vita.
Cosa intende il Buddismo per dignità umana?
Il punto di partenza è il valore e la sacralità della vita, nella sua totalità: in una lettera a un discepolo, Nichiren Daishonin dichiara che il valore di un singolo giorno di vita supera tutti gli altri tesori. Inoltre il Buddismo vede ogni singola vita come una manifestazione della forza vitale dell’universo. Il poeta bengalese Rabindranath Tagore espresse questa idea in modo analogo: «Lo stesso flusso di vita che scorre nelle mie vene, corre notte e giorno attraverso il mondo e danza allo stesso ritmo. È la stessa vita che germoglia gioiosamente nella polvere della terra in innumerevoli fili d’erba e prorompe in tumultuose onde di foglie e fiori». Dal punto di vista buddista, considerando il numero sbalorditivo di forme di vita che riempiono l’universo, la vita umana è un privilegio raro ma con particolari responsabilità.
Il Daishonin, riferendosi a un brano del Sutra del Nirvana, la descrive così: «È raro essere nati come esseri umani. Il numero di coloro dotati di vita umana è piccolo come la quantità di terra che si può tenere su un’unghia». Ciò che rende unica la vita umana è la nostra possibilità di scelta, la libertà di decidere se agire a fin di bene o meno, per aiutare o per danneggiare il resto dei viventi.
Fondamentalmente il concetto buddista di dignità umana si manifesta nell’idea che possiamo scegliere come auto-perfezionarci, decidendo di operare quelle scelte difficili che favoriscono la nostra creatività, crescita e sviluppo. La Buddità o Illuminazione – così viene chiamato tale stato di auto-perfezionamento – è una condizione di coraggio, saggezza e compassione assoluti. L’idea che tutte le persone e tutte le forme viventi hanno questo potenziale è espressa dal concetto, particolarmente evidenziato nella tradizione mahayana, che tutti gli esseri viventi possiedono la natura di Budda.
In termini concreti ciò si riconduce all’idea che ognuno ha una sua missione peculiare, un contributo unico da offrire, un ruolo unico che può essere svolto solo da lui o lei. Dal punto di vista buddista, anche nella situazione più critica abbiamo la possibilità di decidere di creare valore. In questo modo possiamo realizzare il nostro scopo individuale e missione di vita, e così dare piena espressione al tesoro inerente alla nostra realtà umana. Forse non esiste base più solida per i diritti umani di un generale risveglio alla dignità che risiede in ognuno di noi.
Contro la pena di morte
Il presidente della Soka Gakkai Internazionale Daisaku Ikeda si è costantemente opposto alla punizione capitale basandosi sul principio buddista della suprema dignità della vita. La Soka Gakkai e tutti e i suoi organi di informazione hanno assunto una posizione in linea con quella del presidente. (L’organo di stampa della Soka Gakkai, il quotidiano Seikyo Shimbun che ha una tiratura di 5.5 milioni di copie, ha pubblicato numerosi articoli ed editoriali sull’abolizione della pena di morte).
Nel capitolo “Abolizione della Pena di Morte” del libro Choose Life, (ed. originale 1975; trad. italiana Dialoghi, Bompiani, 1988) che contiene i dialoghi tenuti da Ikeda con lo storico inglese Arnold Toynbee, il presidente della Sgi fornisce il suo punto di vista sull’abolizione della pena capitale:
«La ragione per la quale insisto sulla necessità di abolire dovunque la pena di morte si basa sul rispetto buddista per la vita. Chi si schiera per l’abolizione della pena di morte di solito basa la sua argomentazione su due punti: un essere umano non ha il diritto di giudicare e metterne a morte un altro; l’abolizione della pena di morte non fa aumentare il numero di crimini. Chi invece è a favore della pena capitale è fermamente convinto che questa punizione diminuisca il numero dei reati. Che abbia o no quest’effetto, la pena di morte implica la soppressione di una vita come deterrente o come rappresaglia di un crimine. Ma una ritorsione, provocandone inevitabilmente un’altra, mette in moto una catena di atti malvagi. A mio parere la vita, in quanto valore assoluto meritevole del più grande rispetto, non deve mai essere utilizzata come strumento per ottenere qualcosa di diverso dalla vita stessa. La dignità della vita è un fine in sé, quindi, se è necessaria una costrizione sociale, occorre trovare un altro metodo che non coinvolga la vita.
Il ricorso alla pena di morte come deterrente mette in luce la deplorevole tendenza che per lungo tempo ha afflitto la società umana e che oggi pare addirittura accentuarsi, vale a dire la tendenza a sottovalutare la vita. La guerra è una delle principale cause di questa tendenza. In quasi tutti i casi, le guerre si combattono fra Stati che agiscono nel loro esclusivo interesse: la vita umana è considerata soltanto un mezzo per ottenere la vittoria e, in quanto tale, può esser utilizzata e spesa. Non c’è crimine umano più odioso di questo. Fino a quando sarà consentito commettere liberamente questo delitto mostruoso, tutti gli altri reati seguiteranno a esser commessi su scala sempre più ampia e più grave» (Dialoghi, cit, p. 156).
E afferma ancora:«Nell’interesse della società dobbiamo arrestare la tendenza a sottovalutare la vita. Nello stesso tempo dobbiamo mettere a punto strumenti efficaci contro i delitti. Come prima misura da adottare, opterei per un paziente tentativo di risvegliare la coscienza dei criminali, fino a convincerli del male compiuto. In nessuna circostanza, comunque, lo stato deve comminare la pena di morte, poiché così facendo lo stato diventa un assassino. Come ho già detto prima, quando una sanzione sociale è inevitabile bisogna ricorrere a pene diverse da quelle di morte» (Ibidem p. 157).
Nel suo dialogo con Johan Galtung – fondatore dell’Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace – (Choose Peace, 1995; trad. italiana Scegliere la pace, Esperia, 1996) Daisaku Ikeda conferma la sua posizione sulla pena di morte: «La questione della pena di morte è una questione controversa. Come buddista mi oppongo alla punizione capitale come forma estrema di violenza inflitta dallo stato. La giustizia compie talvolta degli errori e si potrebbero giustiziare erroneamente degli innocenti.
Si proclama ai quattro venti che il timore della pena capitale fungerebbe da deterrente al crimine, ma è una tesi le cui prove non convincono. Le statistiche non indicano tassi insolitamente alti di criminalità nei paesi dove non esiste la pena capitale. Molti grandi pensatori e artisti di tutto il mondo hanno elaborato argomentazioni appassionanti contro la punizione capitale. La natura turbolenta dei suoi tempi non ha impedito allo scrittore francese Victor Hugo (1802-1885) di sostenerne l’abolizione. Per bocca di uno dei suoi personaggi egli condannò i giudici che con freddo e inopportuno compiacimento ordinavano esecuzioni, condannando il criminale a morte e la sua famiglia alla miseria e alla povertà.
Hugo riteneva che imprigionare una persona fosse già una punizione sufficiente per qualsiasi crimine. D’altra parte per Goethe, che sembra considerasse la vendetta e la punizione capitale una sorta di autodifesa, la vendetta, se legalizzata, avrebbe sostituito la pena capitale. Il Mahatma Gandhi, che era molto al di sopra della vendetta, sosteneva che è molto più coraggioso perdonare che punire un nemico. Il suo atteggiamento è fondamentale per meditare su tutti i tipi di violenza, inclusa la pena di morte» (Scegliere la pace, p. 99).
Nel 2002 la rivista Da capo ha pubblicato un’inchiesta che rilevava la posizione dei vari gruppi religiosi giapponesi su importanti questioni etico-sociali (l’eutanasia, la pena di morte, la morte cerebrale ecc.). La Soka Gakkai – alla domanda sulla pena di morte – ha dato la seguente risposta ufficiale: «La questione riguarda fondamentalmente la suprema dignità della vita. Quindi la morte decisa dallo stato è inaccettabile».
Nel piano annuale annunciato per il 2008, la Soka Gakkai ha dichiarato che fornirà supporto alle organizzazioni impegnate nell’abolizione della pena di morte, nell’assistenza umanitaria, nella lotta alla povertà, nella protezione dei rifugiati, nella lotta contro il lavoro minorile e il traffico di minori, nella ricerca e prevenzione dell’Aids, nella prevenzione del suicidio, nella promozione dei diritti umani dei senzatetto ecc.
La Soka Gakkai in Giappone coopera attivamente con due organizzazioni non-governative delle Nazioni Unite sulla questione dell’abolizione della pena di morte: Amnesty International (sezione giapponese), e la Rete delle religioni per l’abolizione della pena di morte. I gruppi giovanili della Soka Gakkai hanno tenuto discussioni e convegni per sensibilizzare l’opinione pubblica all’abolizione della pena di morte.
Dialogo
«La completezza umana può essere raggiunta solo all’interno dello spazio aperto creato dal dialogo: con gli altri, con la storia, con la natura e con il cosmo. Il chiuso silenzio degli indifferenti può soltanto diventare il luogo del suicidio spirituale. Nessuno di noi è umano sin dalla nascita, se non in senso biologico. È nostro compito diventare veri esseri umani imparando a conoscere noi stessi e gli altri. Questo è possibile solo se ci immergiamo nell’oceano del linguaggio e del dialogo alimentato dalla sorgente della tradizione culturale» (Daisaku ikeda).
Josei Toda, secondo presidente della Soka Gakkai, desiderava più di ogni altra cosa eliminare la sofferenza dal pianeta. Questo desiderio si è fortemente consolidato nel pensiero e nelle azioni del suo discepolo e terzo presidente Daisaku ikeda e di tutta la Soka Gakkai mondiale.
Toda sosteneva l’urgenza di un nuovo umanesimo e riteneva che qualunque nozione di progresso dovesse prevedere le conseguenze che avrebbe prodotto per lo meno nei prossimi duecento anni.
Per realizzare la nuova forma di umanesimo esortava a utilizzare il dialogo come mezzo per creare una solidarietà duratura ed estesa a tutta l’umanità. Il Buddismo è sempre stato associato alla pace e al pacifismo, sia per il suo fermo rifiuto della violenza, sia per l’importanza che attribuisce al dialogo, considerati i migliori strumenti per la trasformazione dei conflitti. La vita stessa di Shakyamuni, descritta nei vari sutra, è un’ottima illustrazione di queste caratteristiche dell’insegnamento buddista. Shakyamuni era completamente libero dai dogmi e i suoi rapporti con gli altri erano sempre improntati al dialogo. Sebbene normalmente associamo il Budda Shakyamuni alla mitezza, egli parlò anche con grande durezza quando era necessario. Allo stesso modo Nichiren Daishonin, il fondatore della scuola cui aderisce la Soka Gakkai, poneva un’assoluta fiducia nel potere del linguaggio.
Egli dimostrava un caldo affetto e una premurosa preoccupazione per la gente comune, ma nei suoi scontri con le autorità corrotte non scendeva mai a compromessi. Sempre disarmato nel mezzo della cronica violenza del Giappone medievale, Nichiren contava esclusivamente sul potere della persuasione e della nonviolenza.
Il vero dialogo – secondo il Buddismo – è possibile solo quando entrambe le parti sono capaci di autocontrollo. Ma c’è un altro elemento essenziale senza il quale il dialogo diventa eloquenza manipolatoria: la rispettosa compassione per l’altro, per quanto culturalmente diverso da noi e apparentemente contrario ai nostri interessi.
Se più persone si impegnassero instancabilmente nel dialogo, di sicuro gli inevitabili conflitti della condizione umana troverebbero più facilmente una soluzione. Il pregiudizio cederebbe il terreno all’empatia e la guerra lascerebbe il posto alla pace. Il vero dialogo sfocia nel cambiamento degli opposti punti di vista, trasformandoli da solchi che separano gli individui in ponti che li uniscono.
Nonviolenza
La tradizione buddista è universalmente apprezzata per il suo insegnamento pacifista e le testimonianze di nonviolenza che le varie comunità presenti nel mondo hanno offerto nel corso di oltre due millenni.
Un esempio, poco citato nei libri di storia, è quello del re indiano Ashoka: prima guerriero sanguinario poi – dopo la conversione al Buddismo – pacifista assoluto: la sua regola di giustizia esortava a non uccidere gli animali, a non esercitare alcuna forma di crudeltà e a estendere la benevolenza a tutti gli esseri senzienti e insenzienti.
Nella nostra epoca le lotte nonviolente per i diritti umani hanno sempre trovato grandi sostenitori nei buddisti asiatici e occidentali al punto che per loro è stato coniato il termine “buddismo impegnato”: ne sono testimonianza – tra i tanti esempi – il premio Nobel attribuito al Dalai Lama e ad Aung San Suu Kyi, l’attività di Bhimrao Ambedkar in India e l’universale riconoscimento di Daisaku Ikeda come maestro di dialogo.
Il termine “nonviolenza” – scritto senza separazione tra non e violenza – fu coniato da Aldo Capitini allo scopo di evidenziarne le possibilità positive e creative e coincide con il rispetto e l’empatia per ogni forma di vita nella sua infinita diversità proprio dell’insegnamento buddista.
«Il XX secolo – afferma Ikeda – è stato un secolo di guerra. Centinaia di milioni di persone sono morte in battaglia. Cosa ha imparato l’umanità da quella tragedia? In questo nuovo secolo, il XXI, il principio che l’uccisione non è accettabile o giustificata in alcuna circostanza deve diventare l’assunto morale fondamentale dell’umanità. Se non riusciamo a diffondere ampiamente e impiantare profondamente in ogni persona il principio che la violenza non è mai giustificata come mezzo per sostenere le proprie convinzioni, l’umanità non avrà imparato niente dalla lezione del XXI secolo. La vera battaglia del XXI secolo non sarà tra le civiltà o le religioni, ma piuttosto tra violenza e nonviolenza. Tra barbarie e civiltà nel senso più autentico della parola».ne per cui i Budda si avvalgono del potere degli espedienti”» (Op. cit., pp. 79-80).
Educazione e cultura
La Soka Gakkai è stata fondata dall’educatore e pedagogista Tsunesaburo Makiguchi, oggi considerato – a differenza di quanto fecero i suoi contemporanei in Giappone – uno dei maggiori filosofi dell’educazione del novecento. Nel 1930, con circa sessanta simpatizzanti, Makiguchi fondò la Soka Kyoiku Gakkai (Società educativa per la creazione di valore). Due anni prima si era convertito al Buddismo di Nichiren Daishonin e l’organizzazione educativa si trasformò in un’organizzazione buddista sciolta nel 1943 dal governo nazionalista per la sua intransigente opposizione alla politica bellica del Giappone. L’anziano Makiguchi morì di stenti in carcere nel 1945. Il suo discepolo Josei Toda (secondo presidente) fu liberato alla fine della guerra e rifondò l’organizzazione, chiamandola definitivamente Soka Gakkai.
L’educazione, insieme alla pace e alla cultura, rappresenta dunque uno dei tre capisaldi della filosofia Soka.
Il terzo presidente Daisaku Ikeda ha realizzato concretamente il sogno educativo e culturale di Makiguchi e Toda attuando il sistema educativo Soka e una serie di istituzioni culturali in grado di promuovere ponti di amicizia tra i popoli della terra.
Ai nostri giorni, per costruire una democrazia planetaria sono necessari individui consapevoli delle loro potenzialità e capaci di sentirsi cittadini del mondo. Il problema dell’educazione travalica il compito basilare dell’alfabetizzazione: serve far emergere il potenziale latente delle persone che non sono state in grado di acquisire nemmeno le conoscenze fondamentali per la sopravvivenza, e di far convergere questo potenziale verso la costruzione di una comunità globale.
«Io credo fermamente – afferma Ikeda – nel potere latente degli individui, ma allo scopo di risvegliarli al loro potere è necessaria l’educazione. Secondo me oggi si sta levando un grido in favore dell’educazione alla globalità. […] L’educazione alla pace deve far capire la crudeltà della guerra, evidenziare la minaccia delle armi nucleari e insistere sull’importanza della riduzione degli armamenti. L’educazione allo sviluppo deve trattare i temi dello sradicamento della fame e della povertà e dedicare spazio all’elaborazione di un sistema di benessere economico per i circa 500 milioni di persone che oggi soffrono di denutrizione e per i due terzi di nazioni del mondo impoverite. L’armonia tra l’umanità e la natura deve essere il fulcro dell’educazione all’ambiente. È vitale stimolare una seria riflessione sui danni all’ecosistema prodotti dalle esplosioni atomiche. Il rispetto della dignità dell’individuo deve essere la pietra miliare dell’educazione ai diritti umani. In tutti e quattro questi ambiti fondamentali, l’educazione deve trascendere i confini nazionali e individuare valori applicabili a tutta l’umanità». (Daisaku Ikeda, Per il bene della pace, Esperia).
La dichiarazione di Toda contro le armi nucleari
Settembre 1957. Erano passati dodici anni dal lancio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki. Il mondo, diviso tra due superpotenze, tremava all’idea che qualcuno potesse muovere un dito di troppo. L’ 8 settembre 1957 Josei Toda si rivolse a 50.000 giovani che, con tutta probabilità, dodici anni prima avevano vissuto i devastanti effetti dell’ordigno micidiale che in un attimo aveva provocato la morte di centinaia di migliaia di persone. E dichiarò con fermezza che le armi nucleari e il loro uso doveva essere assolutamente condannato non tanto in base all’ideologia, alla nazionalità o all’dentità etnica, ma dalla prospettiva universale dell’umanità. Definendo gli ordigni nucleari come un “male assoluto” Toda voleva sottolineare che dietro di essi si nasconde l’aspetto demoniaco della vita umana, che vuole soggiogare, controllare e alla fine distruggere gli altri. Secondo Toda le armi nucleari, che minacciano lo stesso diritto di esistere dell’umanità intera, sono la manifestazione di tale natura oscura. Anche riuscendo a distruggerle fisicamente, rimarrebbe sempre la conoscenza per poterle ricostruire. Dunque non vedeva altra soluzione di combatterle se non quella di lottare incessantemente contro la natura “demoniaca” e distruttiva della natura umana.
Il suo desiderio era di vincere il senso di terrore e di impotenza in chi lo ascoltava, infondendo la convinzione che poiché la bomba atomica era stata creata dagli esseri umani, gli stessi esseri umani dovevano garantire la loro abolizione.
Come Buddista, Toda era uno strenuo oppositore della pena di morte. Il suo richiamo alla pena capitale per chi avesse usato un ordigno nucleare era finalizzato a scioccare e richiamare la platea alla sua totale e inequivoca opposizione alla bomba. Non era un espediente retorico, ma il modo per far capire che la posizione di coloro che dovessero usare tali ordigni di assoluta barbarie non avrebbe mai potuto essere scusata o perdonata, ma doveva venire punita nel modo più severo.
«Oggi desidero esprimere la mia opinione in merito ai test sulle bombe atomiche e all’idrogeno, che negli ultimi tempi hanno provocato grande apprensione in tutto il mondo. Se siete miei discepoli desidero che facciate vostra questa mia dichiarazione e che ne diffondiate in tutto il mondo il significato. I movimenti di opposizione agli esperimenti nucleari si stanno diffondendo: vorrei tuttavia sottolineare con forza la gravità di tali esperimenti, affermando in particolare che, a prescindere dalla nazionalità, coloro che dovessero fare uso delle armi nucleari in un conflitto meriterebbero di essere condannati a morte, indipendentemente dal fatto che il loro paese vinca la guerra o ne esca sconfitto. La ragione che spiega quanto ho appena affermato è la seguente: noi, il popolo di questo pianeta, abbiamo il diritto di vivere. Qualsiasi persona cerchi di privarci di questo diritto è un demone, un mostro. Affermo che, se anche una nazione riuscisse a vincere una guerra grazie all’uso delle armi atomiche, coloro che ne decretano l’impiego dovrebbero essere condannati a morte in nome del genere umano.
Credo che ai giovani d’oggi spetti una missione di fondamentale importanza: diffondere la consapevolezza che, se una nazione conquista il mondo avvalendosi degli ordigni nucleari, questa nazione, questo popolo e prima di tutto coloro che premono i pulsanti di morte, sono un’emanazione dei demoni.
Concludo il mio discorso chiedendovi espressamente di diffondere questa dichiarazione in tutto il mondo con l’entusiasmo che avete manifestato nella festa dello sport di oggi».
(Yokohama, campo sportivo di Mitsuzawa, 8 settembre 1957)
Mostre per la pace
Coerentemente con la sua convinzione che ogni cambiamento globale sia basato sul risveglio delle coscienze individuali la Soka Gakkai italiana ha scelto il veicolo delle mostre documentarie per portare i temi legati alla pace mondiale direttamente dentro la nostra società. Le mostre sono infatti l’occasione per sviluppare maggiore consapevolezza su temi generalmente affrontati poco, che restano per lo più esterni alla realtà delle singole persone.
L’educazione e l’empowerment della popolazione a livello di base possono mettere in moto onde di trasformazione senza confini.
Sulla base di questa convinzione, la Soka Gakkai italiana ha organizzato mostre e altre attività di informazione a sostegno delle campagne delle Nazioni Unite per il disarmo e i diritti umani e di conferenze internazionali come il Summit della Terra.
Tra i temi affrontati i diritti umani, lo sviluppo sostenibile, il disarmo nucleare.
Nell’ambito dei diritti umani sono state allestite due mostre: “I diritti umani nel mondo contemporaneo” e “La città dei diritti umani” che complessivamente hanno toccato ventiquattro capoluoghi italiani con oltre trecentomila visitatori.
Le mostre “Costruttori di pace” e “I semi del cambiamento” hanno invece toccato centinaia di piccoli e medi comuni e circoscrizioni comunali per raccontare rispettivamente la vita dei grandi protagonisti delle lotte per la pace e le tematiche ambientali insieme alle attività legate alla Carta della Terra.
Una particolare cura viene dedicata all’accompagnamento dei visitatori nel percorso delle mostre. I volontari dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai sono sempre presenti e disponibili a illustrare e a dialogare sui temi presentati nei pannelli. Un’attenzione speciale viene inoltre riservata ai giovani studenti, dando la possibilità a ogni scuola della zona interessata di prenotare e usufruire di visite guidate, interventi in classe e materiale didattico.
Il 26 marzo 2011 a Firenze è stata inaugurata la versione italiana della mostra internazionale “Trasformare lo spirito umano – da una cultura della violenza ad una cultura della pace” [Peoplesdecade, SenzAtomica] dedicata alla sensibilizzazione diretta delle persone comuni affinche´ prendano consapevolezza della minaccia nucleare, rifiutino il paradosso della sicurezza fondata sulle armi nucleari e rivendichino il diritto a un mondo libero da armi. Come le altre esposizioni che l’hanno preceduta, questa iniziativa sta girando l’Italia ed è già stata allestita in 70 città in collaborazione con le amministrazioni comunali per un totale di oltre 300.000 visitatori (dati al 31 luglio 2017).