Perché tutti siano felici, nessuno escluso

di Yoichi Kawada direttore dell’Istituto di Filosofia orientale di Tokyo

Nell’insegnamento buddista, e in particolare nel Sutra del Loto, la redenzione corrisponde alla liberazione dalla sofferenza. Si possono individuare tre livelli di redenzione: quella dell’umanità, che chiama in causa i temi della pace e dei diritti umani; la salvezza ecologica del pianeta; la redenzione spirituale, che riguarda l’etica personale del singolo essere umano

Questo articolo è stato pubblicato nel fascicolo Inter-religious Dialogues – Christians and Buddhists, vol. 31. NR XI, MMI (2001), Annals of the European Academy of Sciences and Arts

L’organizzazione laica Soka Gakkai si basa sulla dottrina buddista originata sia dalla tradizione del Budda Shakyamuni – tramandata in India attraverso Nagarjuna e Vasubandhu – sia dalla tradizione del Sutra del Loto giunta in Giappone attraverso il cinese T’ien-t’ai e il fondatore della scuola giapponese Tendai Saicho (Dengyo), per arrivare fino a Nichiren.
Lo scopo della SGI è diffondere lo spirito mahayana del Sutra del Loto nella società moderna. In questa sede affronterò principalmente il tema della redenzione nel Buddismo Mahayana e in particolare nel Sutra del Loto per definirne su tale base il ruolo nella società moderna.

Il Buddismo mahayana e l’llluminazione di Shakyamuni

La parola “mahayana”, che ha origine dal sanscrito e significa “grande veicolo”, evidenzia il mutamento di prospettiva del nuovo movimento buddista a base principalmente laica rispetto alle forme tradizionali del primo Buddismo, chiamato in senso peggiorativo “hinayana” o “piccolo veicolo”.
L’inizio del Mahayana risale a un centinaio d’anni dopo la morte del Budda storico, Shakyamuni, all’epoca del Concilio buddista del 383 a.C. Tra i seguaci del Budda era sorta una profonda divergenza che riguardava l’importanza di rimanere fedeli alle tradizioni oppure, in virtù delle mutate condizioni sociali della vita monastica, operare un rinnovamento. Un gruppo di monaci del centro mercantile di Vaishali insisteva sulla necessità di adottare regole meno severe nell’ordine per quanto riguardava – ad esempio – il cibo, le bevande e le forme di pagamento, come l’oro e l’argento. Dopo una prolungata discussione prevalse il punto di vista conservatore e la corrente che a esso si ispirava fu chiamata Theravada, che in pali significa “antica dottrina”, e i suoi credenti theravadin o “seguaci dell’antica dottrina”.
I riformatori non accettarono che le loro idee fossero respinte e tennero un concilio alternativo nel quale, affermando di costituire la maggioranza, si definirono mahasanghika o seguaci della “grande comunità”. Da allora la comunità buddista originaria rimase separata in due scuole, la Theravada e la Mahasanghika, che giunsero a sviluppare due dottrine diverse. Caratteristico della Mahasanghika è un atteggiamento liberale verso le nuove interpretazioni della dottrina.
Il Buddismo tradizionale offriva la redenzione attraverso la “conoscenza”(vidya) in contrapposizione all'”ignoranza” (avidya), strettamente legata al “ciclo dell’incarnazione” (samsara). I mahasanghika sostituirono alla conoscenza la “saggezza” (prajna), e l’antico ideale del santo redento (arhat) con quello del bodhisattva, che ritarda la propria redenzione per condurre innanzitutto le altre persone alla salvezza. Presto il nuovo ideale divenne popolare e nei secoli seguenti da queste due dottrine derivarono ulteriori scuole.
Via via che si diffondevano fra la gente, i nuovi movimenti mahayana iniziarono a crescere e a contrastare l’ortodossia theravada, che si occupava prevalentemente di questioni filosofiche e speculative riguardanti gli insegnamenti del Budda.
Questi movimenti mahayana produssero molti nuovi sutra nel periodo che va dal I sec. a.C. al III sec. d.C.
Nonostante le differenze fra le singole scuole, l’obiettivo generale del Mahayana era la redenzione universale di tutti gli esseri umani. Il Sutra del Loto o Sutra del fiore di loto della Legge meravigliosa (in sanscrito Saddharma-Pundarika-Sutra) è uno dei sutra più antichi e dunque appartiene alla prima fase del movimento mahayana.

Le nuove aspirazioni religiose che trovarono espressione e sostegno nei movimenti mahayana furono caratterizzate da diversi fattori:

  1. La speranza nell’avvento di nuovi Budda e bodhisattva dotati di un maggior potere salvifico;
  2. L’esortazione a prendersi cura di tutte le persone basata sulla compassione;
  3. Il desiderio di abolire la differenza fra monaci e credenti laici.

In questo contesto si può riconoscere il tema centrale del Sutra del Loto, costituito dall’esperienza dell’Illuminazione di Shakyamuni e da come i seguaci del suo insegnamento possano a loro volta comprenderla.

Nel capitolo introduttivo del Sutra del Loto si afferma ad esempio:

«A beneficio di chi cercava di diventare un ascoltatore della voce, rispondeva esponendo la Legge delle quattro nobili verità, così che potesse trascendere nascita, vecchiaia, malattia e morte e ottenere il nirvana. A beneficio di chi cercava di diventare pratyekabuddha rispondeva esponendo la Legge della dodecupla catena di causalità. A beneficio dei bodhisattva rispondeva esponendo le sei paramita, facendo loro ottenere l’anuttara-samyak-sambodhi [suprema e perfetta Illuminazione] e acquisire la saggezza omnicomprensiva»

(Il Sutra del Loto, Esperia, p. 16).

Affermazioni simili si trovano anche in altri capitoli come il terzo o il ventesimo. Secondo il Sutra del Loto lo scopo dell’insegnamento e della pratica buddista è l’ottenimento della perfetta Illuminazione; ciò sottintende un atteggiamento critico nei confronti della dottrina esistente che permette solo il conseguimento “degli stadi preliminari dell’Illuminazione”. Questa è la prospettiva secondo la quale il Sutra del Loto affronta il tema della perfetta redenzione.

La redenzione nel Buddismo mahayana

Nel terzo capitolo del Sutra del Loto le illusioni vissute dagli esseri umani sono paragonate a una casa che brucia, mentre la redenzione all’affrancamento da esse.

«Egli è nato nel triplice mondo, una casa in fiamme, un vecchio edificio in rovina, per salvare gli esseri viventi dall’incendio della nascita, della vecchiaia, della malattia e della morte, dalle ansie, dalla sofferenza, dalla stupidità, dall’incomprensione e dai tre veleni»

(ibidem, p. 76).


Il termine triplice mondo indica il nostro mondo, costituito dai tre regni del desiderio, della forma e della non forma, nel quale tutte le persone sono soggette a un gran numero di tormenti che possono essere attribuiti alle quattro sofferenze fondamentali di nascita, vecchiaia, malattia e morte. La casa che brucia rappresenta la condizione esistenziale di sofferenza e le fiamme simboleggiano la passione, intesa nel senso buddista di “attaccamento alla vita” o al “transitorio”. Lo scopo principale dell’insegnamento buddista è liberare le persone dalla sofferenza, ossia condurle al Nirvana. Il Sutra del Loto affronta questo tema centrale del Buddismo considerando la redenzione come liberazione delle persone dalla sofferenza. Possiamo parlare a tale proposito di livelli di redenzione. Il primo è la redenzione dell’umanità, che riguarda il tema della pace e dei diritti umani. Il secondo è la salvezza ecologica del pianeta.
Il terzo livello è la redenzione spirituale in cui si affronta il problema di un’etica della vita e di questioni come la vita e la morte dell’individuo.


Il primo livello, la redenzione dell’umanità, riguarda la dignità della vita umana, che nella tradizione mahayana si estrinseca con l’idea di una natura di Budda che esiste in ogni essere vivente. La natura di Budda, chiamata anche Buddità, è la capacità di diventare un Budda o, come di solito si dice, di “conseguire la Buddità”. Poiché tutti posseggono la natura di Budda, ogni essere umano è considerato egualmente degno di rispetto e in grado di raggiungere la perfetta Illuminazione. La dottrina secondo la quale la Buddità è immanente in tutti gli esseri viventi ha origine dalla tradizione del Thatagata-Garbha o “seme del Budda”, che equivale alla Buddità.

Nel Sutra del Nirvana l’insegnamento diventa ancor più universale affermando che tutti gli esseri viventi sono dotati della Buddità:

«Io ho predicato la dottrina del sutra di Thatagata-Garbha, che sebbene tutti gli esseri viventi siano dotati della Buddità, essi possono farne esperienza solo attraverso l’approccio alla dottrina buddista, mediante la quale è possibile conseguire la perfetta Illuminazione».

Nel Sutra del Loto, che fu scritto prima di questi sutra, la possibilità di raggiungere la Buddità viene spiegata attraverso la relazione del singolo essere umano con il Budda Shakyamuni. Ad esempio, nel secondo capitolo, si spiega perché il Budda appare in questo mondo: «I Budda, gli Onorati dal mondo, appaiono nel mondo per un’unica grande ragione» (ibidem, 38-39).
L’intento principale è “aprire” la saggezza del Budda a tutte le persone, per permettere loro di comprenderla e avere accesso ad essa; così anche alle donne e ai criminali – che prima del Sutra del Loto erano considerati inadeguati – viene garantita la possibilità di manifestare la Buddità e ne viene parimenti riconosciuta la dignità universale della vita. Per questa ragione il Sutra del Loto può essere inteso come una dichiarazione della dignità e dell’eguaglianza di tutti gli esseri umani senza eccezione alcuna.
Dal punto di vista moderno il Sutra del Loto dichiara che tutti gli esseri umani, indipendentemente dalle differenze di razza, nazionalità, cultura, religione e sesso, sono dotati della Buddità, la potenzialità suprema per la felicità, e sono in egual modo capaci di manifestarla. In ciò risiede la ragione del pacifismo buddista che si oppone a ogni forma di guerra e di uccisione degli esseri umani. Questa dichiarazione costituisce a nostro avviso una base per l’affermazione dei diritti umani fondamentali.
Per quanto riguarda il secondo livello di redenzione, la salvezza ecologica della Terra, vi è un principio, appartenente alla tradizione sino-giapponese, che riveste un particolare significato: si tratta della possibilità dell’ottenimento della Buddità anche da parte delle piante, oltre che degli animali e degli esseri umani.

Nella tradizione indiana la possibilità di ottenere l’Illuminazione era propria soltanto degli esseri viventi dotati di facoltà cognitive e dunque le piante erano escluse. Ma il filosofo cinese Chi-tsand (549-623) evidenziò che anche le piante possedevano la Buddità poiché erano, come tutti gli altri esseri viventi, «indissolubilmente legate al loro ambiente». Anche Chih-i (538-597) della scuola cinese T’ien-t’ai riteneva che «ciascun colore e profumo incontra la via di mezzo» e parimenti insisteva che c’era la possibilità che le piante possedessero la capacità di manifestare la Buddità. Questo concetto si diffuse in Giappone e divenne un tema importante nella scuola Tendai giapponese. Anche Nichiren (1222-1282), innovatore della scuola Tendai nel XIII secolo, sosteneva che l’idea di “ottenimento della Buddità da parte di tutti gli esseri viventi” dovesse comprendere questa possibilità anche per le piante.
Ciò che conta probabilmente non è tanto che le piante posseggano o meno la Buddità e la possano manifestare, quanto comprendere che umanità e natura sono inseparabili. Se le persone manifestano la Buddità e diventano felici e illuminate, il loro ambiente sarà in grado di esprimere le sue massime potenzialità. Quest’idea della natura e del mondo presuppone che l’individuo viva in armonia con il suo ambiente naturale e quindi debba proteggere la Terra dal punto di vista ecologico.
Il terzo livello in cui vorrei considerare l’argomento fondamentale del Buddismo, la liberazione dalla sofferenza, riguarda le implicazioni spirituali della redenzione nel Buddismo mahayana. Etimologicamente la parola Nirvana deriva da un termine che significa “estinguere”. Il Nirvana è dunque una condizione in cui tutti i desideri, intesi come causa di sofferenza, sono stati estinti. In tale stato si è liberi dalla catena causale che conduce alla rinascita e a ulteriori sofferenze. L’ideale della tradizione theravada è creare le condizioni per non dover nuovamente rinascere in questo mondo.
Ma il primo Buddismo era caratterizzato da due tipi di Nirvana. Il “Nirvana con un limite residuo” (Sopadhishesha Nirvana) poteva essere raggiunto anche prima della morte in quanto consisteva nella libertà da ogni desiderio pur conservando la forma fisica. Per contro il Nirvana senza limitazioni (Nirupadhshesha Nirvana) indica uno stato che si può raggiungere soltanto dopo la morte e implica una perfetta liberazione dai legami mondani, inclusa l’estinzione del desiderio e della forma fisica.
Nel Buddismo mahayana, che poneva l’accento sull’ideale del bodhisattva, l’idea di Nirvana subisce un mutamento sostanziale e diventa una condizione in cui “l’illuminato non rimane nel ciclo di nascita e morte a causa della sua grande saggezza, ma nemmeno entra nel Nirvana a causa della sua grande compassione per gli altri esseri viventi”. Così il ciclo delle rinascite non si riferisce più a una vita piena di afflizioni che deve essere distrutta, ma al contrario la liberazione dalla sofferenza avviene all’interno di tale ciclo nel quale ci si impegna ad agire come bodhisattva animati dalla saggezza e dalla compassione per gli altri.

Perciò il Sutra del Loto menziona il voto del bodhisattva:

«Queste persone sono grandi bodhisattva che hanno conseguito l’anuttara-samyak-sambodhi. Mossi da compassione per gli esseri viventi, essi hanno fatto voto di nascere laddove possono propagare ampiamente, facendo distinzioni, il Sutra del Loto della Legge meravigliosa»

(ibidem, p. 208).

Nel Buddismo la compassione è sinonimo di misericordia e consiste in un atteggiamento spirituale ed emozionale. Il bodhisattva si sforza di immedesimarsi nella condizione delle altre persone e di comprenderne le sofferenze e le gioie come se appartenessero alla sua stessa vita. Così è sempre disponibile nei confronti degli altri e, pieno di profonda preoccupazione per le loro sofferenze, decide di rinascere in questo mondo. Inoltre: «Queste persone hanno rinunciato volontariamente alla ricompensa che hanno meritato per le loro azioni pure e, nell’epoca successiva alla mia estinzione, mosse da compassione per gli esseri viventi, sono nate in questo mondo malvagio per poter propagare ampiamente questo sutra» (ibidem, pp. 208-209).


Questi brani spiegano che coloro che praticano il Sutra del Loto hanno già raggiunto la suprema e perfetta Illuminazione e nonostante ciò, o meglio proprio a causa di ciò, spinti dall’amore e dalla compassione per coloro che soffrono, hanno rinunciato al loro karma immacolato per poter svolgere la propria missione. I bodhisattva mahayana appaiono nel mondo della sofferenza spinti unicamente da questo desiderio interiore, da questo voto, e da ciò si evince che i credenti mahayana aspirano a divenire persone che nel profondo del cuore prendono seriamente il proprio compito di bodhisattva e si impegnano attivamente per svolgerlo.
Oggi ci troviamo ad affrontare problemi morali assai difficili che riguardano il significato e i confini stessi della vita e della morte, questioni sollevate in maniera diretta dal tema delle manipolazioni genetiche. In quest’ambito l’atteggiamento del bodhisattva che ho appena descritto costituisce una base filosofica per dare risposte ragionevoli. Il Buddismo mahayana trasforma un’idea pessimista della vita, che è solo piena di sofferenza e deve essere estinta, in un atteggiamento positivo verso l’esistenza, che richiede a ognuno di agire sulla base del voto interiore del bodhisattva.

La via del bodhisattva e la società moderna
I quattro voti del bodhisattva, caratteristici della tradizione mahayana, sono:

  1. per quanto numerosi siano gli esseri viventi, io faccio voto di salvarli tutti;
  2. per quanto i desideri siano inesauribili io faccio voto di estinguerli tutti;
  3. per quanto immenso sia il Dharma, io faccio voto di acquisirlo tutto;
  4. per quanto incommensurabile sia la verità del Budda, io faccio voto di comprenderla.

Il primo voto riguarda sia il desiderio della salvezza di tutte le persone che la conservazione ecologica della Terra. Poiché vi sono innumerevoli esseri viventi, a ciascun individuo viene chiesto di fare il massimo per la loro salvezza. Così un bodhisattva non può rimanere nel Nirvana (in quanto “estinzione”, come veniva inteso dal primo Buddismo), ma riappare sempre in questo mondo pieno di dolore, mosso dal potere della compassione di liberare tutti gli esseri dalla sofferenza.
Il secondo voto sfida il bodhisattva a vincere il suo inesauribile desiderio. Qui non si parla di estinzione del desiderio ma della sua trasformazione qualitativa. In termini concreti significa usare i desideri e le passioni come trampolino per lo sviluppo personale. Questa trasformazione, causata dal fatto che la Buddità richiede di essere attivata dalla pratica, viene espressa da due principi: la trasformazione dei desideri in Illuminazione e la trasformazione delle sofferenze di nascita e morte in Nirvana. Così facendo il bodhisattva approfondisce e rafforza le proprie capacità di compassione, saggezza, perseveranza e fede.
Il terzo voto in termini moderni consiste nell’impresa di conoscere approfonditamente tutto il patrimonio spirituale dell’umanità. Per condurre gli altri alla redenzione non si dovrebbero studiare soltanto gli insegnamenti buddisti ma anche le dottrine delle altre religioni, culture e scienze. Solo grazie a tali sforzi incessanti il Buddismo può evitare la paralisi del formalismo e la perdita della capacità concreta di affrontare i veri problemi della propria epoca.
Dal desiderio di redenzione di tutta l’umanità, che è reso possibile affrontando i desideri e acquisendo una serie di conoscenze fondamentali, emerge la quarta sfida del bodhisattva: risvegliare la saggezza del Budda. Questo quarto voto indica il riconoscimento della suprema verità che può essere conseguita percorrendo la via del bodhisattva.
A questo punto vorrei ricordare le qualità morali e spirituali di un grande uomo del nostro tempo: il Mahatma Gandhi, che sembra esemplificare esattamente questo spirito del Budda, liberando persino Shakyamuni dalla cornice dogmatica del Buddismo. Sarei addirittura propenso a considerarlo il vero successore del Budda.
Secondo la dottrina del Sutra del Loto, il Budda eterno appare sempre come un bodhisattva. Il corso della vita di Gandhi è simile alla pratica inesauribile del Bodhisattva Mai Sprezzante (Sadaparibhuta) nel capitolo ventesimo del Sutra del Loto. Questo bodhisattva, considerato una delle molte manifestazioni precedenti di Shakyamuni, salutava ogni persona che incontrava con queste parole di riverenza: «Nutro per voi un profondo rispetto; non oserei mai trattarvi con disprezzo o arroganza. Perché? Perché voi tutti state praticando la via del bodhisattva e conseguirete certamente la Buddità» (ibidem, p. 355).
Questo bodhisattva praticava esattamente il messaggio fondamentale del Sutra del Loto: l’affermazione che la Buddità è intrinseca in tutte le persone e che perciò nel futuro tutte avrebbero percorso la via del bodhisattva e manifestato la propria Buddità. Questo è ciò che avevano in comune Shakyamuni e Gandhi: l’attribuzione della sacralità e della dignità della vita a ognuno e il riconoscimento che questa dignità debba e possa manifestarsi concretamente. Si dice che Gandhi definisse gli Intoccabili come figli di Dio e che li trattasse come bramini.
Il secondo elemento che entrambi hanno in comune è ahimsa, la nonviolenza, cioè la rinuncia all’uso di ogni forma di violenza. Il Bodhisattva Mai Sprezzante fu insultato e persino colpito con pietre e bastoni da molte persone, eppure continuava la sua pratica di riverenza. Questo è lo stesso atteggiamento con cui Gandhi propagò il suo movimento di resistenza nonviolenta. Per Gandhi il mezzo – la nonviolenza – e il fine – comprendere la verità (satyagraha) – erano inseparabili, così come per il Bodhisattva Mai Sprezzante erano inseparabili la pratica di riverire ogni singola persona che incontrava e la sua dedizione al Dharma buddista. Entrambi rifiutavano l’uso di qualsiasi tipo di violenza in nome di un sacro scopo, incoraggiando ogni persona a schierarsi con coraggio a favore della nonviolenza.
In terzo luogo, sia il voto di Shakyamuni che il desiderio di Gandhi riguardavano la redenzione di tutti gli esseri. Del Bodhisattva Mai Sprezzante si dice che sul letto di morte udì un paragrafo del Sutra del Loto e fu in grado di prolungare la durata della sua vita per continuare a predicare il Dharma buddista agli altri. Fino all’ultimo momento la sua esistenza fu dedicata all’adempimento del suo voto di condurre tutte le persone alla redenzione. Gandhi considerava la sua battaglia per la liberazione dell’India una battaglia per tutta l’umanità. L’India, senza fare ricorso ad alcun tipo di violenza, lottò per la propria liberazione contro la Gran Bretagna che a quell’epoca aveva a sua disposizione la maggiore potenza militare del mondo. Fu un esempio per tutta l’umanità futura della possibilità di intraprendere e vincere una battaglia nonviolenta contro qualsiasi potenza militare, anche se in possesso di armi nucleari. Gandhi non si preoccupava soltanto dell’indipendenza del suo popolo, ma anche del benessere di tutta l’umanità.
Nell’ulteriore sviluppo del Buddismo mahayana lo spirito di Shakyamuni, rappresentato nel Sutra del Loto dalla figura del Bodhisattva Mai Sprezzante, si perpetua nei quattro voti del bodhisattva. Nichiren, seguendo la tradizione del Sutra del Loto di T’ien-t’ai e Dengyo, cercò di comprendere la dottrina del Sutra del Loto attraverso l’esperienza concreta e si identificò anche con il Bodhisattva Mai Sprezzante. In sintonia con gli elementi citati, che accomunano il Bodhisattva Mai Sprezzante e Gandhi, vorrei citare alcune frasi di Nichiren. A proposito dell’intrinseca dignità della vita umana indipendente da qualsiasi differenza egli afferma: «Un’unica persona può essere considerata esemplare dell’uguaglianza di tutte le persone» (Gosho Zenshu, p. 568).


Con “un’unica persona” egli si riferisce al Budda Shakyamuni, intendendo che tutti gli esseri umani possono manifestare la propria Buddità immanente e in tal senso sono uguali a lui e parimenti degni di onore. Riguardo alla compassione e alla rinuncia all’uso di qualsiasi forma di violenza Nichiren scrive: «Per quanto riguarda la comprensione del Sutra del Loto, io ho solo una minima parte delle grandi capacità possedute da T’ien-t’ai e Dengyo, ma per la mia capacità di sopportare le persecuzioni e per la mia grande compassione, credo che li farei vergognare» (L’apertura degli occhi, Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 1, pp. 113-114).


Per via dei suoi insegnamenti rivoluzionari, in nome dei quali si contrappose anche alle religioni istituzionali e al potere politico, Nichiren subì gravi persecuzioni, fra cui aggressioni violente e l’esilio. Ma egli le affrontò mantenendo lo spirito buddista della compassione e continuando a rinunciare alla violenza. Il suo voto di contribuire alla redenzione di tutta l’umanità appare chiaro nel seguente brano: «Il Sutra del Nirvana afferma: “Tutti i tipi di sofferenze che le persone sperimentano in vari modi, comprese le mie, sono i dolori del Budda. E comunque tutti i dolori dell’umanità sono i dolori di Nichiren”» (Rimostranza al Bodhisattva Hachiman, Gosho Zenshu, p. 587).
Si sta riferendo allo stesso voto che fu altrettanto fondamentale per Shakyamuni: la liberazione di tutta l’umanità dalla sofferenza.
Dalla sua fondazione, la Soka Gakkai ha sempre cercato di tradurre concretamente in azione lo spirito fondamentale del Buddismo mahayana nella società moderna. Nel corso dei millenni, a partire da Shakyamuni, attraverso T’ien-t’ai fino a Nichiren, i contenuti di quelli che in precedenza ho definito come i tre livelli della redenzione hanno subito notevoli cambiamenti. Oggi siamo di fronte al compito di ridefinire completamente il ruolo del Buddismo.
Nel mondo attuale assistiamo a un processo di globalizzazione che ci richiede di considerare la Terra come un’unica entità. Le relazioni economiche, politiche e culturali sono così strettamente e profondamente interconnesse che la preoccupazione non riguarda più la sopravvivenza di singole nazioni o gruppi etnici ma dell’umanità nel suo insieme. Le numerose questioni – di varia natura e di vasta portata – come quelle degli armamenti atomici o dei diritti umani, ci impongono di accettare la grande diversità delle nazioni, delle culture e delle religioni e di trovare la via per una società umana armoniosa e pacifica, adesso e nel futuro. Per citare un altro tema: il sistema ecologico della terra è sull’orlo del collasso su scala globale e questa è una sfida completamente nuova per tutte le religioni. Inoltre siamo di fronte a problemi totalmente sconosciuti che emergono dagli sviluppi più recenti nelle bio e neuro tecnologie e nell’ingegneria genetica che presentano a loro volta un nuovo insieme di quesiti da risolvere per la religione. Non solo il Buddismo, ma tutte le religioni tradizionali sono davanti al problema di come affrontare questo nuovo compito. Mi sembra che, nell’attuale situazione mondiale, quella che viene chiamata in causa è la stessa ragion d’essere della religione.
Spero che queste considerazioni sulla visione buddista della redenzione possano servire da stimolo per ulteriori discussioni e contribuire all’approfondimento della comprensione reciproca.

Buddismo e Società n.106 – settembre ottobre 2004

Foto di copertina di Scott Webb su Unsplash

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