La responsabilità del cambiamento

Scegliere la pace presenta il dialogo tra Daisaku Ikeda e Johan Galtung sulle leve che l’essere umano può mettere in azione per evitare di cadere nell’orrore dei conflitti e delle povertà. Pubblicato per Esperia la prima volta nel 1995, questo testo avvia una riflessione profonda su come il cuore delle persone concorra a modellare le società esistenti. Il libro analizza il nazifascismo, la corsa agli armamenti nucleari, la mortificazione delle povertà, mostrando come il germe di queste infelicità collettive sia da ricercare nelle tendenze oscure che esistono nella vita. Il leader religioso Daisaku Ikeda e il fondatore dei moderni studi sulla pace Johan Galtung animano temi cruciali, ribadendo che è nelle mani di ognuno/a la responsabilità del cambiamento. Grazie a questa prospettiva non si cade nell’equivoco di valutare il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, l’amore e l’odio come aspetti separati: è esperienza comune che essi sono destinati a incontrarsi continuamente, chiamando l’individuo all’esercizio di una “scelta” permanente. Le grandi persone, a partire da Gandhi, sono individui che hanno agito per far prevalere la comprensione sul rancore, la nonviolenza sull’(auto)distruttività: la pace è come la musica di un’orchestra, nasce suonando in tanti lo spartito illuminato della vita.

 

La bellezza della visione e la convinzione nella possibilità di realizzarla

Ikeda: Lei parla in modo commovente dell’influenza di sua madre nel coltivare in lei l’ottimismo di credere che qualsiasi problema – nel suo caso, l’occupazione nazista, un padre in un campo di concentramento e le sorelle all’estero come rifugiate – potesse essere superato. […]
Galtung: Considero il pessimismo una lussuria personale e autoindulgente che nessuno di noi si può permettere. Certamente ci sono migliaia di ragioni dentro e fuori di noi per essere pessimisti. Queste ragioni non devono essere respinte o sottovalutate né essere scongiurate. Bisogna occuparsene accettando la sfida che propongono. […].
Il leader di un movimento pacifista deve ispirare la fiducia nell’esistenza di soluzioni pacifiche ai nostri dilemmi.
Questa fiducia deve consistere in più che semplici promesse formali, garanzie e chiacchiere del tipo “fidatevi di me”; deve essere sostenuta da un solido ragionamento. I veri leader delle riforme sociali – come Danilo Dolci nella Sicilia degli anni cinquanta o Jayaprakash Narayan nell’India degli anni sessanta – non camminano semplicemente in testa ai loro seguaci, come un pastore con il suo gregge: persino nelle situazioni più difficili diagnosticano, pronosticano e individuano le terapie. […]
La cosa importante non è la bellezza della visione ma la convinzione nella sua possibilità di realizzazione, persino al momento presente quando gli sbocchi sembrano senza speranza. (pp. 30-31)

Consapevoli dell’interdipendenza, si costruisce un mondo senza barriere

Galtung: Il suo definirsi cittadino del mondo deriva forse dalla filosofia del Buddismo mahayana? Suppongo che per un buddista come lei essere cittadino del mondo voglia dire sentirsi libero dalle strutture nazione-stato e dal sentimento di discriminazione razziale.
Ikeda: […] Le dottrine mahayana dell’assenza di un sé permanente e dell’origine dipendente – entrambi insegnamenti basilari – sviluppano un approccio cosmopolita nel cittadino del mondo buddista. Tutti i fenomeni dell’universo, incluso il sé, vengono alla luce e muoiono in conseguenza della dipendenza reciproca (engi, in giapponese). Gli assertori di questa filosofia non permettono alla propria mente di essere ossessionata dal dominio delle cose materiali, o da speciali prerogative che alcune particolari classi, razze o nazioni suppongono di possedere. Un vero buddista trascende l’egoismo individuale, razziale e nazionale. Acquisendo la consapevolezza che tutte le cose sono collegate e concatenate, i buddisti ignorano le barriere discriminatorie.
Il Buddismo tende a creare un mondo caratterizzato dalla comprensione dell’origine dipendente e del potenziale latente come natura essenziale dell’universo (shunyata in sanscrito e ku in giapponese). Se si riporta questo principio alla società umana, non si può fare a meno di contribuire a un mondo di mutua assistenza e sostegno, un mondo in cui tutti rispettano gli altri come esseri dotati di un’importante missione. In un mondo pervaso da tale consapevolezza […] impegnarsi per la felicità degli altri equivale a lavorare per la propria felicità. (pp. 46-47)

Il male interiore è la causa primaria, quello esteriore solo un effetto

Ikeda: Lei descrive un panorama severo degli effetti funesti che l’occidente ha provocato sulla maggior parte del mondo moderno. Anche grazie ai suoi errori il pensiero occidentale ha articolato e stimolato la consapevolezza dei diritti fondamentali. […]
Galtung: L’Europa e gli Stati Uniti, diciamo pure l’Occidente, hanno due lati opposti, come il dio romano Giano che aveva due facce e due voci. Oltre al suo aspetto gentile e compassionevole, che apprezzo enormemente, l’Europa ha un lato duro e violento. Il problema è aiutare l’Occidente a liberarsi dei suoi aspetti oscuri.
Ikeda: Certe persone sono sempre state attratte dalla lucidità affascinante delle coppie dualistiche come bene e male, luce e buio, amici e nemici, amore e odio e così via. Queste persone tendono a cercare facili risposte e non sopportano le complesse interazioni psicologiche in atto nel dialogo (nel senso socratico) e nella speculazione che mira a scandagliare la verità delle cose […]
Per liberare l’umanità moderna – e non solo gli europei – dalla maledizione di questi atteggiamenti dobbiamo renderci conto che il male fa parte degli esseri umani. Dobbiamo diventare profondamente consapevoli che il male interiore è la causa primaria e che il male esteriore è solo un effetto. (pp. 88-92)

[rif. BS216 https://buddismoesocieta.org/article/la-responsabilita-del-cambiamento/]

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