Lo scopo ultimo del Buddismo è la felicità delle persone. La vita più profonda di ciascuno di noi è ricca di potenzialità inespresse e di immense riserve spirituali di saggezza, coraggio, energia e creatività. La splendida unicità e la meraviglia dell’essere umano è che ciascuno realizzi e manifesti tali potenzialità in una miriade di modi diversi, a seconda del proprio carattere, della propria cultura, personalità e passione. L’intento del Buddismo è di rendere le persone consapevoli dell’illimitato potenziale della propria vita e di esprimerlo. Il Buddismo contrasta il senso di impotenza che sperimentiamo di fronte alla sofferenza e alle difficoltà, consentendoci di attingere alle nostre risorse interiori per trasformare qualunque fonte di sofferenza e ottenere convinzione e realizzazione.

Nell’ambito della vasta tradizione buddista, è il Sutra del Loto che definisce nel modo più chiaro questo potenziale profondo, spiegando che è presente nella vita di ogni individuo e sottolineando che insegnare a tutte le persone a connettersi con questo potenziale, qui e ora, è lo scopo degli insegnamenti Buddisti. Il Sutra del Loto è degno di nota anche per il suo “insegnamento dell’unico veicolo”, che comprende tutto ed esprime la verità fondamentale del Buddismo e cioè che chiunque può ottenere la Buddità e ha il diritto di essere felice. I testi buddisti descrivono due metodi principali di esporre tale verità.

Il primo, in giapponese shoju, consiste nel condividere questa visione della vita senza mettere in discussione direttamente le convinzioni altrui. Il secondo metodo, detto shakubuku, consiste in un’affermazione più risoluta della verità e nel contestare le visioni che non rispettano la dignità della vita. Shakubuku è una pratica per gli altri, un esercizio attivo di compassione e convinzione circa la loro natura di Budda. È un atto di supremo rispetto, che richiede coraggio per parlare a fondo degli insegnamenti buddisti. Praticare solamente per se stessi può sembrare una scelta più semplice, ma non è la vera via per l’Illuminazione.

Nel XIII secolo, circa 1.500 anni dopo la scomparsa del suo fondatore Shakyamuni, il Buddismo era ben consolidato in Giappone, ma si era frammentato in numerose scuole rivali, ciascuna delle quali affermava di rappresentare il vero insegnamento di Shakyamuni. Alcune erano state addirittura cooptate all’interno delle strutture di potere corrotte e oppressive dell’epoca. Questo era il contesto storico in cui visse Nichiren Daishonin (1222-82), fondatore del Buddismo praticato dai membri della Soka Gakkai. Dopo aver studiato a lungo i vari insegnamenti buddisti, cominciò a confutare energicamente le dottrine che considerava deviate rispetto agli insegnamenti di rispetto della dignità vita contenuti nel Sutra del Loto. Nonostante le tremende persecuzioni subite da parte delle autorità continuò a propagare, convinto che le filosofie erronee che incoraggiavano la passività e il senso di impotenza fossero la causa principale delle sofferenze e dei contrasti sociali.

Le descrizioni degli sforzi notoriamente appassionati del Daishonin hanno talvolta fatto passare in secondo piano il fatto che lo shakubuku consiste primariamente e soprattutto in un dialogo aperto. Nichiren Daishonin si è sempre impegnato nel dialogo sostenendo che «Finché persone di saggezza non dimostreranno la falsità dei miei insegnamenti, io non mi arrenderò». I suoi oppositori, rifiutando il rischio del dibattito, preferirono complottare contro di lui.

Il Sutra del Loto stesso fornisce un modello per lo shakubuku nella figura del Bodhisattva Mai Sprezzante, il quale si inchinava profondamente al cospetto delle persone che incontrava, onorandole in quanto possedevano la natura di Budda. Tuttavia, le sue azioni inizialmente suscitarono scherno e aggressività. Ciò che egli confutava, rivolgendosi direttamente alla loro intrinseca natura di Budda, era la visione ristretta che le persone avevano di se stesse. Mettere limiti alle nostre capacità e aspettative è una tendenza naturale. In un certo senso, queste barriere sono lo strumento attraverso il quale ci definiamo. Rischiamo facilmente di rimanere intrappolati in una visione ristretta di noi stessi e del mondo e possiamo provare fastidio e addirittura paura quando questa percezione limitata di noi stessi viene messa in discussione.

Il Buddismo mette costantemente in discussione ciò che pensiamo di essere. Lo spirito di shakubuku però non è mai animato da un’ansia sterile e polemica di dimostrare la superiorità della propria opinione rispetto a quella altrui, bensì scaturisce dall’intenso desiderio compassionevole di permettere agli altri di credere nell’enorme potenziale ancora inespresso della propria vita.

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